Le elezioni regionali in Umbria di domani 27 ottobre sono il primo vero test per la maggioranza giallorossa al governo, che si presenta insieme a questa tornata elettorale. Un importante risultato politico per Di Maio, che ha insistito e ottenuto il cambio di strategia per le regionali, dove il Movimento si è sempre presentato da solo mentre ora sostiene Vincenzo Bianconi insieme al nemico giurato di un tempo, il Partito democratico. Di Maio però ha subìto a livello nazionale l’accordo col Pd, che gli è stato imposto da Beppe Grillo.



Intanto in M5s si litiga. “I Cinquestelle hanno ammainato tutte le loro bandiere ideologiche: sul Tav, sul Tap, sul Muos, sull’Ilva” ci ha detto Nicola Biondo, ex capo della comunicazione del Movimento alla Camera e oggi autore di libri sulla loro galassia politica, “ma senza le battaglie identitarie dietro 10 anni di retorica del Movimento cosa resta? Solo poltrone e introiti della Casaleggio Associati”.



Il Movimento 5 Stelle rischia di saltare?

Nel corso di questi 10 anni abbiamo ascoltato acuti commentatori che ci dicevano, nei vari momenti di crisi politica, che il Movimento non sarebbe stato in grado di gestirli e sarebbe morto: in realtà il Movimento non esplode. Può perdere pezzi, ma non espelle mai i suoi personaggi chiave, quelli con cordate interne. Al massimo si disfa delle menti libere.

Cambieranno qualcosa queste elezioni?

Non penso metteranno in difficoltà il governo, ma sarà un passaggio che servirà a capire chi gestirà il Movimento in futuro. Bisogna capire se vincerà chi ha fatto l’operazione di palazzo che ha portato al patto col Pd, o se questa sarà stata un’operazione in perdita, che danneggerà chi l’ha messa in piedi.



È in atto una resa dei conti tra l’anima governista e quella movimentista?

Io non credo che esistano queste due frange; c’è chi va al governo e ci sono gli esclusi dalle cariche. Si è governisti fin quando si è dentro al governo, quando non si ha la poltrona si strepita. Questo perché il Movimento, non avendo una cassaforte ideologica, è guidato da una cordata vincente.

Il primo che ha voluto l’alleanza col Pd è stato certamente Beppe Grillo. Perché l’ha fatto?

Grillo è stato umiliato quando Di Maio e Casaleggio l’hanno messo alla porta rifondando in silenzio il partito nel 2017: gli hanno lasciato il titolo onorifico di “garante”. Beppe voleva vendicarsi di Di Maio e ha appoggiato Conte.

Di Maio è a rischio? La tensione dentro i 5 Stelle è così alta che non riescono nemmeno a eleggere i capigruppo.

Di Maio è il perfetto esempio del capo cordata: ha piazzato i suoi. Si è portato dal suo paese gli amici d’infanzia come consiglieri, i “Pomigliano boys”. Ha messo vicecapo di gabinetto al ministero del Lavoro Salvatore Barca, che si è portato dietro pure la sua fidanzata. Con operazioni di questo tipo, ha anche sprecato le competenze presenti nel Movimento. E ora i parlamentari gli preferiscono Conte. Di Maio è l’ultimo stadio del populismo, in questo assomiglia a Salvini.

In che senso?

Pensa ai tre nomi che vogliono la poltrona di Conte: Renzi, Di Maio, Salvini. Renzi l’ha già fatto. Di Maio e Salvini non hanno mai lavorato, e anche quando potevano farlo da ministri, hanno preferito continuare ad andare in giro a fare annunci e a cercarsi nemici. Io penso che Di Maio sia un prodotto di marketing, e presto sarà sostituito. Come Di Battista, che con la Casaleggio aveva addirittura un contratto editoriale.

Conte riuscirà a farsi leader dei 5 Stelle?

Bisogna capire da che parte sta Davide Casaleggio, che resta dominus indiscusso. E io penso che penda dalla parte di Conte, perché gli conviene restare al governo: conviene al bilancio della sua azienda. Mi fa sorridere leggere sul Corriere di Conte come un novello Prodi, addirittura migliore.

I sindaci possono segnare una riscossa per i 5 Stelle? O li affonderanno ancora di più?

La situazione di Roma non è colpa della Raggi, servirebbe un commissariamento di dieci anni. È che anche lei dietro aveva il nulla, ovvero l’idea che bastasse l’onestà per governare. Ha uno staff nominato da Casaleggio, che le ha imposto Lanzalone: l’ha dichiarato lei. Un sindaco che si fa imporre da un privato una nomina fa reato di traffico di influenze. Ma la procura di Roma è la stessa che indaga per mafia senza intercettare mai dei politici.

Ma se il capo resta Davide Casaleggio, lei pensa che riuscirà a costruire la democrazia diretta in futuro? Il taglio dei parlamentari potrebbe essere un primo passo.

Casaleggio non ha nessuna idea di futuro. Ha un conflitto d’interessi enorme e nascosto, e gestisce una piattaforma che sceglierà il prossimo presidente della Repubblica. In Germania il voto elettronico è proibito, sa perché? Perché è impossibile garantirne la sicurezza. Casaleggio va in giro a dire che la sicurezza è garantita da una società terza, come se ci fosse un “albo” che in realtà non esiste per le società di informatica. Abbiamo scoperto che è la stessa società della quale è cliente: come se il fabbro che mi fa la porta blindata mi dicesse che è garantita.

A sentirti parlare, sembra che Davide Casaleggio sia una figura peggiore rispetto al padre, Gianroberto.

Davide ha detto che infanghiamo (Nicola Biondo e Marco Canestrari, ndr) la memoria di suo padre: in realtà noi attacchiamo solo lui. Di Gianroberto si possono dire molte cose, ma lui per la sua folle passione politica ha quasi fatto fallire la sua azienda, mentre Davide dal punto di vista imprenditoriale ottiene grandi risultati. Come manager è migliore, solo che dice un sacco di sciocchezze.

(Lucio Valentini)