«Quello per il caso Open Arms è un processo politico»: sabato pomeriggio a Palermo nell’aula bunker che normalmente ospita i processi di mafia, va in scena una delle ultime udienze con Matteo Salvini sul banco degli imputati, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Sono in tutto 15 gli anni di carcere che rischia il leader della Lega se venisse condannato in primo grado, imputato per aver negato lo sbarco della nave ong Open Arms nell’estate 2019: 15 anni per aver applicato la direttiva condivisa dall’allora Governo Conte-1 (M5s-Lega) di cui Salvini era Ministro dell’Interno e vicepremier, ovvero una politica migratoria che impedisse lo sbarco automatico nei porti italiani dei rifugiati trasportati dalle ong.
Al di là della stranezza tutta italiana che come pm inquisitore al processo troviamo lo stesso Luigi Patronaggio che all’epoca dei fatti decise da procuratore di Agrigento di far sbarcare tutti 163 migranti dalla nave Open Arms, il rebus sul processo politico – come denunciato dalla stessa Lega – è ben altro: un processo che coinvolge una ong intenta a far cambiare politica migratoria di uno Stato sovrano, con contatti verificati (e presentati in aula come prove dallo stesso fondatore di Open Arms, Oscar Camps) con almeno due Stati stranieri (Francia e Germania) e con un intero Governo teoricamente coinvolto di cui però solo l’allora Ministro dell’Interno si ritrova alla sbarra.
OPEN ARMS VS SALVINI: DAI PORTI CHIUSI ALLE “INGERENZE” DI FRANCIA E GERMANIA
Il caso Open Arms insomma porta con sé non poche assurdità che fuoriescono dal colore politico e che necessitano di essere messe in fila per capire come mai, al di là di chi è presente sul banco degli imputati, occorre accorgersi del campanello d’allarme democratico che suona ormai da diverso tempo: in primo luogo la semplice sequenza dei fatti ricostruita durante il processo che ha portato a comprendere come la nave ong Open Arms abbia in primo luogo rifiutato il coordinamento della guardia costiera libica, poi in serie ha evitato di consegnare i migranti a Malta e rifiutato infine il porto sicuro che la Spagna le offriva. L’obiettivo era giungere in Italia e allora qui da salvataggio d’emergenza rischia di diventare una questione politica: il Governo gialloverde all’epoca, su disposizione del vicepremier Salvini (ma con l’assenso di tutto il CdM) aveva introdotto la politica dei “porti chiusi” per provare a convincere l’Europa di un sostegno concreto ai ricollocamenti in modo da condividere a livello continentale un’emergenza migratoria che non può essere solo l’Italia a dover caricarsi sulle spalle.
Il braccio di ferro fra Italia e Bruxelles venne poi “risolto” dalla magistratura che impose lo sbarco dei migranti a Lampedusa, con però il Ministro dell’Interno che venne quasi fin da subito accusato di sequestro di persona: il processo poi (permesso dal Parlamento con un voto che già all’epoca fece discutere) ribadì quelle accuse ipotizzando appunto 15 anni di carcere come pena massima qualora il leader della Lega fosse condannato. Occorre poi inquadrare bene l’epoca in qui avvenne l’intera vicenda: lo scollamento fra Lega e M5s proprio in quelle settimane dove il Premier Giuseppe Conte sconfessò pubblicamente gli accordi presi con Salvini, specie sul fronte migratorio e di sicurezza. In politica, come nella vita, vivere di sospetti o con la posizione della “vittima” non è mai consigliabile eppure ogni tanto mettere in fila qualche indizio potrebbe rischiare di portare ad una prova: Open Arms che scrive a Merkel e Macron per intervenire, i due Capi di Stato esteri che rispondono (ma è secretato il resto delle email scambiate con Camps) dicendo di voler coinvolgere il Parlamento Europeo per “risolvere” la vicenda con l’Italia, e infine la crisi di Governo che porterà Conte e sbarazzarsi della Lega per imbarcare a bordo il Pd (con Renzi) avvenne tutta in quella frenetica estate del 2019.
DOSSIER E INCANDIDABILITÀ: COSA C’È DIETRO IL PROCESSO A SALVINI?
Alla fila di “indizi” va aggiunto come in quell’epoca l’imprinting Ue era quello di defenestrare politicamente l’opposizione italiana sul tema migranti, salvo poi invertire la rotta appena pochi anni dopo con l’impegno del Governo Meloni con Von der Leyen e ora con le decisioni durissime tanto della Francia quanto della Germania che arrivano a teorizzare la necessità di controllare ingressi e frontiere. A tutto questo va infine ricordato – come sta emergendo dalle carte dell’inchiesta di Perugia sui presunti “dossieraggi” tramite la banca dati della Direzione Nazionale Antimafia – che la Lega di Salvini sarebbe risultata uno dei bersagli “preferiti” dall’azione combinata di Striano e dell’ex pm Laudati per fabbricare dossier da inviare a giornalisti del “Domani” non da qualche mese ma da diversi anni. Come ha detto lo stesso procuratore Cantone facendo riferimento al Carroccio, «inquietante la ricorrenza di articoli di giornale concernenti partiti politici o personaggi politici, le cui informazioni sarebbero state acquisite da Striano illecitamente».
Sabato la requisitoria dell’accusa, a fine ottobre la sentenza di primo grado, con Salvini che nell’aula bunker vedrà il risultato di un lungo processo con accuse di “spregevole sequestro di persona” ma che il vicepremier continua a ritenere un caso “politico”: lo ribadiamo, il colore politico non conta, bensì contano i fatti. Cosa sarebbe successo con altri partiti, magari di Centrosinistra, che si ritrovano “spiati” con dossier per svariati anni, estromessi da Governi “utilizzando” un caso spinoso come lo scontro con una ong straniera, e poi anni dopo vedendo applicate da chi li contrastava di fatto le stesse misure di attenzione e regolamentazione delle frontiere? Qui allora lasciamo per un secondo finale “i fatti” e proiettiamoci al prossimo futuro: con un Salvini condannato, che con ogni probabilità in secondo o terzo grado potrebbe essere assolto, ma che per qualche anno risulterebbe incandidabile e con un partito de-potenziato dal clamore della sentenza. Non sarebbe in qualche modo stato “applicato” quel senso di ingerenza estera che emerge da più lati in questa vicenda? Un’ingerenza esterna da governi stranieri e dall’Europa stessa, un’ingerenza “interna” da alcuni magistrati, soggetti delle forze dell’ordine e media. Si parla troppo spesso di “complotto”, a volte a casaccio, ma spetta ai giudici di Palermo provare a fare chiarezza sicuramente sul caso specifico di Open Arms vs Salvini, ma se possibile anche sull’intera filiera di fatti e stranezze che accompagnano questa triste vicenda umana e politica.