Dopo che sono scaduti i termini dati dalla Corte Costituzionale al legislatore per dirimere le questioni in merito alla diffamazione a mezzo stampa, ecco giungere in serata la sentenza della Consulta che “legifera” al posto dello Stato. «La Corte costituzionale ha esaminato oggi le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, per contrasto, tra l’altro, con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le questioni sono tornate all’esame della Corte un anno dopo l’ordinanza n. 132 del 2020 che sollecitava il legislatore a una complessiva riforma della materia», si legge nel comunicato datato 22 giugno 2021.



In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale dichiara incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare «obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa». Viene invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595 del Codice Penale che invece prevede per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, «la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa». Per questo motivo, proprio derivante da questa ultima norma ribadita dalla Consulta, spetta al giudice sanzionare con la pena detentiva «solo nei casi di eccezionale gravità». (agg. di Niccolò Magnani)



ATTESA SENTENZA DELLA CONSULTA

Domani scade il monito della Corte costituzionale sulla diffamazione a mezzo stampa. Oltre a non aver risolto la questione del fine vita, la politica ha lasciato scadere anche l’anno che è stato concesso dalla Consulta al Parlamento per intervenire a livello normativo per il bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona. Lo aveva fatto con l’ordinanza 132/2020, spiegando che la sanzione detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa non è compatibile con la nostra Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), in quanto eccessiva e sproporzionata. Visto che il Legislatore non ha approvato una nuova disciplina, entro mercoledì la Corte costituzionale si riunirà in udienza pubblica: si va dunque verso la sentenza. La questione della legittimità costituzionale era stata sollevata dai tribunali di Salerno e Bari con due ordinanze. E la Consulta aveva rinviato la trattazione. Anche la politica Ue aveva cercato di spronare i parlamentari italiano, raccomandando col Consiglio d’Europa di lasciar perdere la detenzione, ma ad agire sono state le “toghe”. La Cassazione, ad esempio, ha più volte annullato provvedimento che prevedeva la carcerazione, salvo casi rarissimi.



VERNA (ODG) “CONSULTA CANCELLI PENA DEL CARCERE”

La Corte costituzionale un anno fa aveva suggerito al Legislatore di valutare la depenalizzazione del reato di diffamazione a fronte di rimedi di natura civilistica o anche disciplinare. Essendo una materia complessa e ricca di “sfumature”, la Consulta aveva dato un anno di tempo al Parlamento per agire. Ora la “palla” ritorna alla Consulta. «Mi auguro che la Corte Costituzionale cancelli la pena del carcere per il giornalista che diffama. Io non credo non ci debbano più essere sanzioni», ha dichiarato all’AdnKronos Carlo Verna, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti che parteciperà all’udienza della Consulta in collegamento via web per le norme Covid. Verna ha evidenziato che «il Parlamento è stato ancora una volta assente». Inoltre, si è detto «moderatamente ottimista» in merito all’esito di domani, perché potrebbe essere una giornata storica. «Noi avremmo preferito che la politica trattasse in modo più organico la necessità di una nuova legislazione del giornalismo ed anche delle querele bavaglio», ha aggiunto con rammarico.