Se l’apocalisse avesse un volto e una collocazione temporale, sarebbero sicuramente quelli del disastro della diga del Vajont: il 9 ottobre 1963, alle 22:39, una frana innescò una tragedia impressionante trascinando con sé 1910 vite, vittime di una strage annunciata e sottovalutata. 260 milioni di metri cubi di terra, staccatisi dal monte Toc, precipitarono nel bacino artificiale tra Veneto e Friuli Venezia Giulia causando un’onda spaventosa che travolse Erto, Casso, il fondovalle, Longarone e le sue frazioni. Un orrore scioccante in pochi istanti, anticipato da un sinistro vento di morte, improvviso, violentissimo. Poco dopo, il nulla: non resterà altro che un paesaggio lunare, e mille interrogativi in parte ancora senza risposta nonostante i decenni trascorsi.
La diga del Vajont era stata costruita dall’ente privato Sade (Società adriatica di elettricità) ed era ritenuta un fiore all’occhiello non solo in Italia, ma nel resto del mondo per la sua portata e la capacità, stando ai calcoli dell’epoca, di generare energia (stimati 800 milioni di kWh). Alle spalle del maxi progetto, secondo quanto ricostruito negli anni da inchieste esplose tra aule di giustizia e giornali, la sottovalutazione dei “segnali” che avrebbero indicato un forte rischio idrogeologico – in particolare slittamenti del terreno e crepe – nell’area poi diventata teatro del disastro. Soltanto all’esito di un lungo processo si dimostrerà che chi sapeva del pericolo lo avrebbe minimizzato e nascosto. La catastrofe del Vajont, seguita dallo scandalo dei risarcimenti arrivati solo nel 2000, si doveva e si poteva evitare: è la storia svelata dall’inchiesta del giornalista Giorgio Nozzoli del quotidiano Il Giorno che, inviato sulla scena del disastro, ricalca una successione di inquietanti errori, negligenze, omissioni e sottovalutazioni da parte di chi avrebbe dovuto scongiurare un simile epilogo.
Diga del Vajont, il “disastro annunciato”: dalla prima frana del 1960 alla catastrofe
Il disastro della diga del Vajont finì al centro di una rovente polemica tra chi lo riteneva una tragica fatalità e chi, invece, andava a caccia di elementi che avrebbero dimostrato una “strage annunciata” frutto di una serie di sottovalutazioni e omissioni che poi sarebbero finite al centro di un lungo iter processuale. Tra questi ultimi Nozzoli, allora inviato del quotidiano Il Giorno, sul posto insieme ad altri cronisti subito dopo la catastrofe. La prima frana si sarebbe registrata nel 1960, senza conseguenze. Un evento seguito con grande attenzione da una cronista de l’Unità, ricorda oggi Il Corriere della Sera, Tina Merlin, soprannominata in tono sarcastico la “Cassandra del Vajont” e voce inascoltata delle prime avvisaglie di pericolo. Invece aveva previsto tutto: “Un’enorme frana è precipitata in questi giorni dentro il lago, staccandosi dai terreni sulla sponda sinistra in località Toc, poco più su della grande diga del Vajont. Un appezzamento di bosco e prato della lunghezza di circa 300 metri ha ceduto all’erosione delle acque ed è piombato dentro il lago. Per puro caso non c’è stata qualche tragedia“.
Quando quel 9 ottobre 1963 la frana della morte spazzò via quasi 2mila vite, c’era chi dormiva e chi guardava, ignaro dell’apocalisse imminente, la partita Glasgow-Real Madrid seduto davanti alla tv. Storie di ordinaria quotidianità distrutte in un istante da un evento prevedibile, che si sarebbe dovuto evitare. La spaventosa ondata d’acqua si riversò nella valle del Piave divorando Longarone, Faè, Pirago, Rivalta e Villanova. Soltanto dopo molti anni, nel 2000, sarebbe arrivata la conclusione della vicenda giudiziaria. Al centro delle cronache, l’inchiesta per stabilire se si fosse trattato di un errore umano o di un disastro naturale. Le perizie avrebbero dimostrato la prima tesi. Furono iscritti nel registro degli indagati alcuni dirigenti e consulenti della Sade, ricorda TgCom24, oltre a funzionari del Ministero dei Lavori pubblici. All’esito del processo, durato dal 1968 al 1972, sarebbero stati condannati un dirigente della società titolare del progetto e della realizzazione della diga del Vajont, e un ispettore del Genio civile. Soltanto uno di loro sarebbe finito in cella, per un anno e mezzo. Sade, nel frattempo, sarebbe stata inglobata da Enel e Montedison, condannate al risarcimento nel 1997 dividendone il carico con lo Stato italiano.