In piena seconda ondata Covid-19, sull’Italia torna ad aleggiare lo spettro di un nuovo lockdown generalizzato. L’emergenza sanitaria, che marcia inarrestabile verso lo Scenario 4, il più grave tra quelli elaborati dall’Istituto superiore di sanità, sta spingendo il governo ad adottare un nuovo pacchetto di restrizioni e chiusure.



In questo contesto, caratterizzato da un’accresciuta dipendenza tecnologica per svolgere le principali attività quotidiane a distanza, gli italiani dovranno presto tornare a fare di nuovo i conti – come già sperimentato durante il primo lockdown della scorsa primavera – con una delle maggiori criticità strutturali e una delle problematiche più avvertite dai cittadini: il digital speed divide. Di cosa si tratta? Con questo termine si indica la mancanza di una connessione veloce diffusa in misura omogenea su tutto il territorio nazionale.



Secondo i dati del Desi Index della Commissione europea, nel 2020 l’Italia si posiziona tra i paesi Ue ancora al 17º posto per lo sviluppo dei servizi di connettività, con criticità rilevanti soprattutto nella diffusione della banda ultralarga veloce: la copertura delle reti ad altissima capacità VHCN (Very High Capacity Network) è infatti pari solo al 30%, molto lontana dalla media Ue, che si attesta sul 44%.

Parliamo di valori che non creano differenze solo rispetto ai principali partner europei e internazionali, ma anche tra le diverse aree del paese, perché lo speed divide si manifesta soprattutto nella differente distribuzione interna delle infrastrutture di telecomunicazione tra zone urbane e zone rurali, con una generale posizione di svantaggio dei piccoli comuni e delle aree interne, in particolare nel Sud.



Secondo un recente report di EY, nel 2019 la rete in fibra ottica fino a casa (FTTH) ha raggiunto solo il 23% delle unità immobiliari italiane, con una forbice tra copertura infrastrutturale e diffusione dei servizi ultrabroadband assai maggiore nelle regioni meridionali. La rete FTTH copre di fatto solo il 21% delle unità immobiliari al Sud e nelle Isole (con le maggiori criticità in Sardegna, Calabria e Puglia) contro il 29% del Nord-Ovest e il 24% del Centro.

La pandemia, dunque, non ha fatto altro che portare inevitabilmente in primo piano le differenze esistenti tra i territori, rivelando difficoltà di connessione alla rete, ancora esistenti in numerosi piccoli comuni, che in questo periodo di crisi hanno significato, di fatto, l’impossibilità per numerose imprese, scuole e famiglie (si pensi solo alla Didattica a distanza) di accedere ad alcuni diritti e servizi fondamentali.

Una delle cause principali del divario digitale esistente è senza dubbio legata al ritardo nell’attuazione del Piano BUL (Piano Banda Ultralarga), approvato dal governo Renzi nel 2015 e che prevedeva di portare entro il 2020 connessioni veloci a tutti i cittadini italiani. Attraverso tre gare, i lavori sono stati affidati a Open Fiber, società dedicata alla fibra ottica e partecipata da Cdp e Enel, che ha ricevuto la nascente rete pubblica in concessione per 20 anni.

Attualmente si stima che il Piano BUL sconti almeno tre anni di ritardo, con la possibilità sempre più concreta di concludere i lavori solo dopo il 2023, come confermato anche dal ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, lo scorso 10 settembre nel corso di un’audizione alla commissione Trasporti della Camera. Secondo quanto rilevato da Infratel – società in house del ministero dello Sviluppo economico incaricata di seguire i lavori per il piano – il 17,7% dei numeri civici italiani, quindi un totale di ben 3,6 milioni, non è ancora coperto dalla banda ultralarga, rispetto a una previsione del 12,3%.

Tutto ciò spiega perché, soprattutto durante il lockdown, quando la pressione a cui è stata sottoposta la rete di telecomunicazioni nazionale ha messo drammaticamente in luce la scarsa penetrazione dei servizi a banda ultralarga tra la popolazione, si sia scatenata una vera e propria corsa dei comuni, soprattutto quelli più piccoli, per garantirsi una connessione veloce.

Molti operatori si sono mossi per soddisfare la domanda crescente: ad esempio, a marzo Tim ha ricevuto l’autorizzazione dall’Agcom per aggiungere 5mila nuovi cabinet nelle cosiddette “aree bianche” (ovvero aree prive di reti ultrabroadband), così da poter collegare un milione di persone in più alla banda ultralarga.

Anche Eolo, società leader nel mercato del Fixed Wireless Access (FWA) – tecnologia che utilizza le frequenze radio per la copertura dell’ultimo miglio – nel primo semestre di quest’anno ha registrato un forte incremento di nuove richieste di connessioni provenienti soprattutto dai comuni con meno di 5mila abitanti. Anzi, in base ai dati forniti dall’ultimo osservatorio sulle comunicazioni dell’Agcom (aggiornati a giugno 2020), Eolo è stato l’operatore che è cresciuto di più, in termini di quote di mercato, nel segmento broadband/ultra broadband, e in misura più marcata in quello FWA, con un incremento del 22,8% della Customer Base nell’ultimo anno.

Forte di questi risultati, a maggio la società ha lanciato un piano di investimenti da 150 milioni di euro finalizzato a estendere, già entro il 2021, la propria rete a banda ultralarga agli ultimi 1.200 piccoli comuni ancora non coperti dalla connettività ultrabroadband, localizzati principalmente nel Sud Italia.

“A quattro mesi dal lancio del piano – dichiara il Ceo di Eolo, Luca Spada – abbiamo portato la connessione a banda ultralarga in ulteriori 375 Comuni, molti dei quali disagiati o completamente senza copertura, arrivando a coprire 6.327 comuni, circa l’80% del totale, con connettività in banda ultralarga”.

In vista non solo dei problemi che emergeranno con un possibile nuovo lockdown, ma soprattutto nell’ottica di garantire maggiore competitività del paese e maggiore equità sociale, risulta evidente che oggi sostenere gli sforzi degli operatori attraverso un piano infrastrutturale che dia la possibilità di coprire nel modo più veloce possibile le aree dove non arriva la banda ultralarga sia una priorità assoluta e un passo imprescindibile per la completa digitalizzazione del paese. L’accesso alla rete internet con una connessione di qualità su tutto il territorio nazionale e il superamento del divario digitale consentiranno infatti di uscire dalla crisi con un progetto di crescita orientato all’innovazione, resiliente e inclusivo.