All’Angelus di domenica 20 febbraio, pochi giorni prima dell’ingresso delle forze russe in Ucraina, Papa Francesco si è espresso così: “Com’è triste quando persone e popoli fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra”. E durante l’udienza di mercoledì 23 febbraio, alla vigilia dell’invasione, l’accorato appello “a quanti hanno responsabilità politiche” a compiere “un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra” e l’invito a fare del 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima, una giornata di preghiera e digiuno per la pace.
Da quel momento si sono intensificate le sollecitazioni e le mosse diplomatiche, sia pure estremamente discrete, di Bergoglio e della Santa Sede per una soluzione pacifica del tragico conflitto esploso nel cuore dell’Europa, dalle conseguenze atroci, con l’intento di far tacere le armi e avviare un dialogo costruttivo tra le parti. Una sincera preoccupazione che riecheggia gli straordinari sforzi di un altro papa, Benedetto XV, di cui ricorrono quest’anno i cento anni della salita al Cielo (morì di broncopolmonite a 67 anni il 22 gennaio 1922); sforzi tesi a far cessare quella che definì “inutile strage”, riferendosi alla sanguinosa Prima guerra mondiale, di cui fu fiero e indomito oppositore. Una vicenda che è utile ripercorrere e che ha molto da insegnarci oggi.
Quando il cardinale Giacomo della Chiesa, genovese di nobili origini, il 3 settembre 1914 è eletto al soglio pontificio con il nome di Benedetto XV, la Grande guerra (all’inizio solo europea) è cominciata da poche settimane. Un periodo durante il quale le potenze centrali (Austria-Ungheria e Germania) hanno invaso il Belgio e minacciato di sopraffare la Francia, e parte dei Balcani è in fiamme. Il conclave per individuare il successore di Pio X è tra i più drammatici, in un momento in cui le opposte propagande belliche spingono i popoli l’uno contro l’altro, esacerbando gli animi. La sofferenza della Chiesa è accresciuta dalla circostanza che ci sono cattolici in entrambi gli schieramenti. È l’epoca gloriosa e drammatica delle trincee, dentro le quali sono ammassati, destinati a morire per la patria, soldati provenienti da due terzi dei Paesi cattolici del tempo. Molti degli stessi cardinali riuniti in conclave provengono da nazioni in guerra; non è semplice quindi scegliere il nuovo Pontefice.
Dopo le difficoltà iniziali i porporati si mostrano uniti sul nome dell’arcivescovo di Bologna perché italiano (siamo ancora neutrali, entreremo in guerra a fianco dell’Intesa, Francia, Gran Bretagna e Russia, solo il 24 maggio 1915) ma soprattutto perché dotato di grande esperienza diplomatica. La gran parte dei 7 anni e 141 giorni del pontificato di Benedetto XV saranno dedicati alla condanna della guerra. Cercherà con ogni mezzo di porre la propria autorità morale a servizio del raggiungimento di un accordo equilibrato, ma non troverà ascolto. Al contrario, le sue esortazioni gli procureranno solo dolorosi rifiuti.
A meno di due mesi dall’elezione, il 1° novembre 1914 – festa di tutti i Santi – nella sua prima enciclica, Ad beatissimi apostolorum (Del beatissimo [principe] degli apostoli), il nuovo Papa chiede con fermezza che cessino le ostilità e si ponga termine allo spargimento di sangue. Chiarissime le sue parole: “La guerra viene solo dal rifiuto di Dio e del Figlio suo Gesù, rifiuto operato dall’ateismo e dalle conseguenti ideologie dell’odio e della violenza”.
Nessuno raccoglie il suo grido di dolore. Ma la voluta indifferenza delle cancellerie che contano, animate da una preconcetta ostilità di matrice spesso massonica, non lo scoraggia. Andrà avanti senza sosta nella ricerca di una soluzione al conflitto, che diverrà mondiale con l’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa. In una lettera del 5 maggio 1917 al Segretario di Stato, cardinale Pietro Gasparri, lucidamente presagisce il “suicidio dell’Europa civilizzata” di fronte all’uso massiccio di tutte le armi moderne: mezzi corazzati, sommergibili e armi chimiche, compresi i gas. Uno spaventoso massacro, che non si era mai visto fino ad allora, con un bilancio finale di 37 milioni di vittime tra morti, feriti e dispersi.
Il culmine dei tentativi di mediazione di Benedetto XV viene raggiunto il 1° agosto 1917 quando, con una lettera indirizzata ai Paesi in armi, chiede di nuovo con estrema decisione di cessare le ostilità, proponendo come base per un concreto negoziato un piano di pace in sette punti (pensato da monsignor Eugenio Pacelli, futuro Pio XII). È in questa occasione che usa la celebre espressione “inutile strage”, passata alla storia.
Più precisamente, nel messaggio rivolto “ai capi dei popoli belligeranti”, come Papa della Chiesa esorta “a tornare fratelli”, per evitare che il mondo civile si riduca a un desolato “campo di morte”. Solo la cessazione dei combattimenti, evitando il completo annientamento di uno dei due contendenti, garantirà all’Europa la possibilità di recuperare la propria unità spirituale e morale. Un traguardo non facile, che non potrà che essere basato su un accordo articolato in punti concreti e condivisi, come la prevalenza della forza morale del diritto sulla forza materiale delle armi, la diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti, “una intera e reciproca condonazione quanto ai danni e spese di guerra”’ e infine “la reciproca restituzione dei territori attualmente occupati”. La speranza è di “giungere così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage”.
Le reazioni dei governi europei – su entrambi i fronti – sono tiepide, tardive e deludenti, per non dire ostili. Nessuno vuol rinunciare alla difesa dei propri interessi e alla possibilità della vittoria finale. Il conflitto andrà avanti ancora per più di un anno. Benedetto XV, inascoltato, rinuncerà agli interventi pubblici, ritenuti ormai inutili, puntando di più su un’azione assistenziale a tutto campo da parte della Chiesa, con il soccorso ai feriti, l’aiuto ai militari caduti prigionieri, la ricerca dei dispersi, la solidarietà concreta alle popolazioni coinvolte nella guerra. A prescindere dagli schieramenti e dall’identità religiosa o nazionale. Ma con la fine della guerra, non mancherà di far sentire ancora la sua voce.
Escluso dal tavolo della pace di Versailles, a cui aveva chiesto dì partecipare, soprattutto per volontà del ministro degli Esteri italiano, il barone Sidney Sonnino, di religione anglicana e di simpatie massoniche, Benedetto XV sceglie una strada diversa per indicare le condizioni per una pace “giusta, onorevole e duratura”: che si mettesse alle spalle “l’immane tragedia” e non fosse dettata come sempre dai vincitori.
Del 23 maggio 1920, festa di Pentecoste, è l’enciclica Pacem Dei Munus Pulcherrimum (La pace, meraviglioso dono di Dio). È la prima enciclica che in modo organico ha per tema la pace. A partire dalla preoccupazione che restino ancora “i germi di antiche inimicizie” e non si plachino “gli odi e i rancori”, ai popoli “che hanno combattuto la Grande guerra” viene chiesto di rimuovere ogni ragione di dissidio e riprendere tra loro relazioni amichevoli, impegnandosi “per la concordia e per un reciproco amore”. Questa “Lega tra le nazioni” va “fondata sulla legge cristiana”, perché è fragile e non duratura una riconciliazione che non abbia come fondamento “la carità di Gesù Cristo”. Ciò significa, precisa Benedetto XV, che “a risanare le ferite del genere umano è necessario che vi appresti la sua mano Gesù Cristo, di cui il samaritano era l’immagine”. La storia mostra come l’Europa cristiana, “sotto la guida e l’auspicio della Chiesa, mentre conservò a ciascuna nazione la propria caratteristica, culminò in una unità, fautrice di prosperità e di grandezza”. Il ristabilirsi di una pace vera tra i popoli e gli Stati non poteva perciò che avvenire, per il Papa che si era battuto contro quella “inutile strage”, sull’unica base possibile, quella cristiana.
In tempi come i nostri, segnati dall’oscuramento di Dio, la preoccupazione per una pace fondata sulla “carità di Cristo” testimoniata dalla Chiesa sembra del tutto dimenticata, a partire dai potenti della terra, che si affidano a mezzi solo umani: le armi, le ritorsioni, le sanzioni, le politiche imperiali. Ma la preghiera e l’affidamento a Maria costituiscono la strada da percorrere, allora come oggi. L’appello di Papa Francesco del 23 febbraio si conclude infatti con questa invocazione: “La Regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra”.
Nella citata lettera al cardinal Gasparri del 5 maggio 1917 Benedetto XV chiedeva di aggiungere alla Litanie lauretane dedicate alla Vergine, per la prima volta, proprio l’invocazione “Regina della pace, prega per noi”. Appena otto giorni dopo quella decisione, il 13 maggio 1917, la Madonna appare a Fatima a tre pastorelli e pone loro una domanda impegnativa, che è rivolta anche a tutti noi: “Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori?”.
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