L’imprenditore antimafia Filippo Callipo si è dimesso da consigliere regionale della Calabria. A cinque mesi dall’elezione, “non ci sono le condizioni – ha spiegato, lamentando abusi in Consiglio regionale – per portare avanti concretamente l’importante mandato conferitomi”. Il riferimento è alla recente approvazione – con successivo annullamento – del vitalizio per tutti i consiglieri regionali calabresi, anche quelli decaduti dopo pochi giorni.
Callipo aveva già detto d’essere stato gabbato, d’aver subìto il blitz con cui in “tre minuti”, crisi economica ineunte, il Consiglio regionale aveva preparato codesto “tiro mancino”, presentandolo come provvedimento privo di nuovi o maggiori oneri. E, assicurano fonti confidenziali, Callipo aveva pensato di denunciare quel “falso” all’autorità giudiziaria, prima di finire in un terribile tritacarne mediatico: dagli insulti d’ufficio su Facebook all’accusa di tirchieria rivoltagli dal presentatore di una tv locale, sino a quella di appartenere al “Partito della torta”, mossagli da Carlo Tansi, come lui ex candidato presidente della Regione Calabria.
L’addio del leader dell’opposizione consiliare non ha scalfito la politica calabrese, rimasta muta nel primo Consiglio regionale successivo. Per la cronaca, i parlamentari del Movimento 5 Stelle Francesco Sapia, Bianca Laura Granato e Giuseppe d’Ippolito hanno osservato che la vicenda si è consumata mentre l’indagata Domenica Catalfamo – secondo Il Fatto Quotidiano perfino con l’ipotesi di concorso esterno – ha scelto di mantenere la carica di assessore della giunta regionale guidata da Jole Santelli (Forza Italia). Invece il commissario del Pd calabrese, Stefano Graziano, ha chiesto a Callipo di ripensarci e, per quanto inutile, ai consiglieri dem di non votarne le dimissioni.
Finisce così l’esperienza del “Re del tonno” nel Consiglio regionale della Calabria: nessuna analisi dal palazzo, poca solidarietà politica, non un ragionamento sul futuro e, sullo sfondo, solo i brutti rimbrotti della rete, che tende a catalogare gli eletti sotto la specie post–moderna della “casta”.
La breve parentesi di Callipo sa di sconfitta clamorosa per il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Essa termina senza brindisi ed enfasi della controparte: con il più classico dei silenzi, che in Calabria non ha alcun legame con il tatticismo andreottiano e talvolta prelude, di contro, a un sommovimento delle acque, al timore di un cambio venturo di assetti ed equilibri, se non alla paura di nuove elezioni.
Questa storia si esaurisce all’anti–vigilia del maxi processo Rinascita Scott, in cui tra gli altri sono imputati faccendieri, già parlamentari e un ex vicepresidente della Regione Calabria. Se non bastasse, a conferma della pericolosità – per le cosche – del procuratore Nicola Gratteri, nel contempo arriva la notizia di un piano mafioso per ammazzare il magistrato.
Davanti alle dimissioni di Callipo, tra i portabandiera della legalità in Calabria, e alla possibile recrudescenza delle organizzazioni criminali, la politica locale è ferma: non guarda, non discute, non progetta, non fiata, vive di attese beckettiane. Né si interroga su che cosa da qui a fine anno accadrà nella regione dell’utopia e della speranza gioachimita, che ha il reddito pro capite più basso d’Italia, la sanità più disastrata del Paese, una burocrazia mostruosa, i servizi essenziali al lumicino, l’emigrazione in crescita e le idee di sviluppo respinte da un sistema di potere che non tollera il dissenso, il confronto e l’emancipazione collettiva.
Urge la creazione di un’assemblea costituente che, di là dai vecchi schemi della politica, riunisca le intelligenze e le coscienze sane di questa regione, che sappia presentare un programma di interventi e investimenti per il territorio e che dia un esempio al resto dell’Italia. Ancora divisa, distratta, diseguale, incosciente degli effetti economici e sociali del Covid.