Benny Gantz lascia Netanyahu. Il governo non ha risposto alla sua richiesta di un piano chiaro per la gestione del dopoguerra a Gaza e il generale, come aveva annunciato, ha lasciato il suo posto al gabinetto di guerra, chiedendo anche elezioni anticipate. Le sue dimissioni cambiano lo scenario politico, lasciando ancora più spazio all’estrema destra e prefigurando non solo il completamento dell’operazione militare a Rafah e Gaza, ma anche un’occupazione della Striscia da parte di Israele. È successo proprio mentre il Paese festeggiava la liberazione di alcuni ostaggi, in un blitz in cui però, come annunciato da Hamas, sono rimasti uccisi altri tre prigionieri. La comprensibile soddisfazione per il ritorno a casa di quattro persone, d’altra parte, in queste ore fa il paio anche con operazioni militari molto violente, come quella di Nuseirat, con più di 274 morti e 800 feriti, in cui l’IDF ha dato dimostrazione di non considerare molto la necessità di mettere in sicurezza i civili palestinesi.
Tutto questo mentre il piano israeliano di attaccare il Libano, spiega Filippo Landi, già corrispondente RAI a Gerusalemme e poi inviato del TG1 Esteri, potrebbe aprire, in caso di attuazione, un conflitto regionale, coinvolgendo anche l’Iran. Insomma, le prospettive di pace, nella guerra di Gaza, sono sempre più affievolite, tanto che neanche il nuovo viaggio di Blinken in Israele potrà probabilmente portare a un cessate il fuoco definitivo.
Cosa ha portato Gantz a lasciare il gabinetto di guerra che aveva sostenuto, nonostante facesse parte dell’opposizione, dopo l’attacco del 7 ottobre?
Gantz ha dato le sue dimissioni dalla partecipazione al gabinetto di guerra israeliano dichiarando in modo sibillino che Netanyahu sa quello che c’è da fare. Tutti sanno che c’è una divergenza tra di loro. Il primo ministro vuole continuare il conflitto fino a una sconfitta militare totale di Hamas, ma anche prolungare il controllo militare israeliano su Gaza in futuro. Gantz, viceversa, in linea con gli americani, ritiene che il costo di una presenza militare israeliana sarebbe negli anni altissimo e chiede ai Paesi occidentali, arabi e all’ANP di farsi carico del controllo di Gaza. Una proposta che l’Autorità nazionale palestinese potrebbe prendere in considerazione se si aprisse una trattativa per una soluzione complessiva del conflitto che riguardi Gaza, Gerusalemme Est e Cisgiordania.
Come cambia lo scenario politico e la gestione della guerra?
Netanyahu ha risposto a Gantz che non è tempo di divisioni e, nel contempo, Ben Gvir, l’attuale ministro della Sicurezza interna e della Polizia, ha chiesto di subentrare al generale nel gabinetto di guerra, segno che l’estrema destra vuole cogliere l’occasione per portare a compimento la sua strategia: un totale controllo militare di Gaza anche in futuro e, se possibile, quando le condizioni dovessero ripresentarsi, una espulsione dei palestinesi dalla Striscia.
La liberazione di quattro ostaggi da parte dell’IDF può cambiare qualcosa nella strategia di Israele?
È una medaglia a due facce. Ha portato un sollievo nell’opinione pubblica israeliana, nel governo e tra i militari, anche se Hamas ha fatto sapere che nell’operazione sono morti altri tre ostaggi. L’altra faccia della medaglia è l’operazione compiuta a Nuseirat, definita come il più orribile massacro fin qui compiuto dagli israeliani. Una parola, orribile, usata dal capo della diplomazia europea. Le reazioni nel mondo in numerosi Paesi europei, nella totalità di quelli arabi e da parte dell’ANP dimostrano come le modalità dell’operazione hanno impressionato per il numero altissimo di morti causati in un luogo relativamente piccolo. Sono stati almeno 274 con oltre 800 feriti. Una vicenda che, anche per la partecipazione di esperti USA, ricorda la strage compiuta dalle forze americane a Falluja durante il conflitto in Iraq. A questo si aggiunge il reportage del New York Times sulla condizione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, contro i quali viene usata la pratica della sodomizzazione. Un fatto che richiama il caso di Abu Ghraib e le condizioni dei detenuti iracheni nelle carceri di Baghdad, quando furono catturati dai soldati americani.
Da una parte, insomma, Israele è soddisfatta per la liberazione di alcuni ostaggi e dall’altra deve fare i conti con la violenza delle operazioni militari e non solo?
Di questo discuterà Blinken, arrivando per l’ennesima volta in Israele in queste ore. Fonti ufficiose dicono che riproporrà la necessità di un cessate il fuoco, che per Netanyahu può essere solo una tregua e che Hamas rifiuta di accettare chiedendo la fine delle operazioni militari israeliane.
Si sono intensificati i toni con cui si parla di un imminente attacco in Libano. Israele vuole sfruttare l’occasione per una resa dei conti non solo con Hamas?
Le notizie che vengono dall’interno di Israele parlano della possibilità di un attacco terrestre nei confronti del Libano, non solo nel Sud ma anche nella Valle della Bekaa, a ridosso con il confine della Siria. Un’azione che i militari hanno pianificato in attesa che i politici individuino il momento propizio per attuarla. Non è una resa dei conti, sarebbe l’apertura di un fronte regionale. Colpire Hezbollah e far saltare i fragili equilibri in Libano fra cristiani e sciiti aprirebbe lo scenario di un conflitto che punta a coinvolgere l’Iran. I conti gli israeliani non li farebbero solo con Hezbollah.
Realisticamente che scenario dobbiamo aspettarci ora? Israele procederà con l’operazione a Gaza e basta?
Questi mesi ci hanno abituati a un gioco diplomatico che ha sfiorato l’ipocrisia. L’arrivo di Blinken rilancerà la richiesta di un cessate il fuoco. Netanyahu ribadirà le sue posizioni. Quindi si chiederà ad Hamas di accettare uno pseudo cessate il fuoco, che rifiuterà. La responsabilità verrà riversata su di loro. L’ipotesi di un cessate il fuoco potrebbe riprendere almeno per qualche ora di nuovo le prime pagine dei giornali, fermo restando che il tipo di operazioni militari di queste settimane dimostra che Israele non ha neanche lontanamente un piano per salvaguardare i civili, sollecitato più volte da Blinken, Biden e dal capo del Pentagono Austin.
Cosa possiamo dire invece dal punto di vista dei palestinesi?
C’è la disponibilità a fermare gli attacchi nei confronti di Israele, perché la gente lo vuole e preme su Hamas per ottenerla, ma dall’altra l’assenza di strategia politica non è una esclusiva israeliana. È presente anche nel fronte palestinese, considerando anche l’ANP, che lì dove teoricamente dovrebbe comandare, a cominciare da Ramallah, dimostra di non riuscire a farlo.
Il 24 luglio Netanyahu parlerà al Congresso USA. Possibile che arrivi a un appuntamento così importante senza che la situazione a Gaza sia già definita, magari con una guerra chiusa?
La politica americana sta scontando le incapacità di gestire questa vicenda. A dicembre-gennaio lo staff di Biden diceva che nel giro di un mese la guerra sarebbe finita. Il fatto che si arrivi a ridosso della convention repubblicana e democratica con una guerra in corso e una possibile visita di Netanyahu dimostra quanto siano evidenti le contraddizioni americane. Non c’è una risposta a questa domanda, solo la considerazione che ogni giorno che passa questo diventa sempre di più il vero problema politico in casa democratica.
(Paolo Rossetti)
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