Non è colpa di Cracco, né dei sei pezzi da novanta schierati da Amazon Prime per la prima stagione di Dinner Club. Ma la formula – una via di mezzo tra i viaggi enogastronomici di Anthony Bourdain e la pluridecennale Linea Verde – sbandierata come un innovativo programma sulla gastronomia italiana mai visto prima, non si discosta molto dal registro del solito e abusato format costruito per parlare di mangiare.
Servirebbe una moratoria al mondo della cucina italiana. Sul serio. Servirebbe che chef (tutti), produttori (quelli piccoli e bravi), giornalisti del settore (professionisti e non) si autoimponessero un anno sabbatico di silenzio. Dovremmo cercare tutti, almeno per 12 mesi, di mangiare e non parlare, evitare di raccontare per ore quello che abbiamo cucinato e che ci apprestiamo a consumare, con enfasi e supponenza, un’estenuante descrizione dei dettagli, patologia da curare con potenti ansiogeni. Mangiare in silenzio e conservarne il ricordo, almeno per un anno, e vedere l’effetto che fa.
Tutto ha avuto inizio – altra grave responsabilità della tv – con le competizioni tra aspiranti chef. Tra lacrime e dita mozzate abbiamo conosciuto arguti maestri della cucina, diventati presto delle star a forza di dettare ai malcapitati concorrenti le dure leggi della cucina. Non una cucina qualunque, ovvio, ma quella dello chef. Un luogo tremendo, che via via ci è apparso per quello che è: una zona fuori dal tempo, dove la vita è terribile, priva di compassione, dove c’è uno che comanda e tutti gli altri che eseguono alla velocità della luce, e se non lo fanno a dovere vengono duramente redarguiti. Il tutto per comporre piatti equilibrati, originali, artistici, amorevoli, in grado di lasciarci alla sola visone a bocca aperta. Un conflitto insanabile, quello tra la cucina, luogo di sofferenza, e la sala da pranzo, dove tutto è perfetto.
Quasi sempre questi grandi chef sono maschi. Così abbiamo accettato, senza reagire, la prima grande bugia. La cucina, nella realtà e sopratutto in Italia, è fatta di donne. Di nonne, mamme, zie che hanno tramandato per secoli ricette e prelibatezze, know-how che a un certo punto è stato loro sottratto furtivamente da cuochi maschi.
Torniamo a Dinner Club. In questa prima stagione prodotta da Prime e disponibile con tutti i sei episodi dal 24 settembre, troviamo Cracco – che ha abbandonato da qualche anno la squadra di giudici di MasterChef – nella vesti di guida spirituale di sei autorevoli attori e comici italiani – Diego Abatantuono, Sabrina Ferilli, Fabio De Luigi, Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino e Luciana Littizzetto – alla scoperta di mete culinarie italiane ancora sconosciute. Uno alla volta, e alla guida di improbabili mezzi di trasporto – una barca lungo il Po, un camper anni ’70 in Puglia, una mountain bike nel Cilento -, Cracco conduce i sei personaggi in visita a produttori e ristoratori della tradizione regionale italiana.
Il viaggio dovrebbe avere due obiettivi: decidere il menu da preparare agli altri membri della comitiva, una volta tornati a Roma, e provare a far fare amicizia allo scontroso chef veneto-milanese, noto per il carattere ruvido e di poche parole, con il malcapitato compagno di viaggio. Se il primo obiettivo viene facilmente raggiunto acquistando in giro per l’Italia prodotti di ottima qualità e individuando il piatto locale più facile da replicare, il secondo è completamente fallito. Cracco sta abbastanza antipatico a tutti. In particolare a Mastandrea, che neanche lo nasconde. L’attore si vede costretto durante in viaggio in Cilento a confessare alcune paturnie culinarie – come non mangiare cibi di color bianco – di cui non sa neanche bene spiegare l’origine, mentre lo chef lo costringe comunque a cibarsi di mozzarella.
La sensazione è che i nostri attori – ovviamente bravissimi – si siano prestati con poca convinzione, forse per riempire la propria agenda in un periodo come quello della pandemia afflitto da scarsità di produzioni, forse allettati dai considerevoli budget messi a disposizione da Amazon. Sicuramente alcuni di loro – Favino e Abatantuono in particolare – lasciano trapelare abbastanza chiaramente il loro disagio, come quello di chi si trova a una cena dove sicuramente si mangerà bene, ma di cui non si sa bene di cosa parlare. La Ferilli finisce così per diventare il “soggetto” verso cui si rivolgono le battute più feroci dei commensali. Del resto, in quel contesto, la sua aria di ragazza del popolo “cresciuta a teatro e coda alla vaccinara” rivela qualche falla (come il matrimonio non si sa bene perché celebrato a Parigi).
La bella casa adagiata su uno dei colli romani con panorama mozzafiato sulla città eterna dove si svolgono le cene rende l’atmosfera più simile ad un “Grande Fratello Vip” piuttosto che a un incontro a casa tra amici. E i protagonisti un po’ sospettano di essere finiti in un reality a loro insaputa. Chi rimane sempre fedele a se stesso è proprio Cracco. Lui e le regole da seguire – “che poi la regola principale è che non ci sono regole” – ci hanno un po’ stufato. Cracco e gli altri cuochi hanno una bella responsabilità ed è ora che ne siano chiamati a pagare qualche conseguenza. Non si può entrare nella cucina degli italiani e trasformarla in una competizione permanente. La cucina è semplicità, naturalezza, condivisione, conoscenza dei gusti delle persone con cui si vive insieme. Un po’ di rilassatezza è quello che ci vuole dopo tanto penare. E se proprio abbiamo bisogno di un talent – se posso dare un consiglio – meglio cambiare canale e guardarsi X Factor 20-21.
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