Si può licenziare chi non fa gli straordinari. A stabilirlo è la Corte di Cassazione che ha ritenuto legittimo il recesso del datore di lavoro in quanto è grave il rifiuto sistematico opposto dal lavoratore riguardo l’orario supplementare. Come riporta Italia Oggi, la Corte ha ritenuto che il comportamento del dipendente crei disagi organizzativi all’impresa. Il lavoratore non è riuscito a provare che l’azienda abbia superato la “quota esente” di extratime, oltre la quale si deve consultare il sindacato.



E proprio per questo, risulta un inadempimento da parte dello stesso dipendente che “non ha spirito di collaborazione” e anzi, “non si cura degli interessi dell’impresa” in una maniera descritta come “plateale”. Tuttavia, il recesso non è avvenuto per giusta causa ma per giustificato motivo oggettivo: dunque, al dipendente spetta il preavviso. La Cassazione ha stabilito quanto descritto nell’ordinanza 10623/23 della sezione lavoro.



Il lavoratore risarcito di due stipendi e mezzo

Il dipendente metalmeccanico, il quale caso è stato portato di fronte alla Cassazione nell’ordinanza 10623/23, ha avuto diritto a due stipendi e mezzo per mancato preavviso. Nonostante ciò, nessun reintegro: secondo la Corte, infatti, non rispetta la direttiva aziendale che stabilisce l’aumento dell’orario di lavoro per ragioni produttive. Come stabilisce l’articolo 5 del dlgs 66/2003, alle parti sociali spetta il compito di regolamentare il ricorso al lavoro straordinario. Il datore di lavoro, in base al contratto collettivo applicabile, può chiedere ai dipendenti degli extra senza avvisare i sindacati, arrivando però fino a due ore al giorno e otto alla settimana. Il preavviso deve essere di almeno ventiquattro ore.



I testimoni hanno confermato che il lavoratore non ha mai adempiuto agli straordinari, integrando la “pervicace violazione” dell’obbligo prescritto dalla direttiva aziendale nonostante il Ccnl non prevedesse in modo esplicito la fattispecie del rifiuto del lavoro aggiuntivo. Il “notevole inadempimento” non configura, secondo la Cassazione, “la grave insubordinazione” del mancato preavviso nel recesso.