Venerdì i ministri del Consiglio Ue Ecofin hanno dato il via libera definitivo alla cosiddetta “direttiva case green”, il pacchetto di norme per l’efficientamento energetico degli edifici dell’Unione (zero emissioni entro il 2050). Italia e Ungheria hanno votato contro l’intesa, Repubblica Ceca, Croazia, Polonia, Slovacchia e Svezia si sono astenute. Gli altri Paesi a favore. “È una direttiva bellissima, ambiziosa, ma alla fine chi paga?” ha dichiarato il ministro Giorgetti.
La direttiva era stata già approvata con i voti degli europarlamentari della sinistra e di parte del PPE. In pratica entro il 2050 tutti gli edifici europei dovranno essere ad “emissione zero” e gli Stati membri hanno ora due anni di tempo per emettere le direttive nazionali.
Entro il 2030 le emissioni complessive vanno comunque ridotte già del 16% e del 22% entro 10 anni. Sono norme più leggere rispetto a quelle iniziali anche per la forte opposizione di alcuni Stati, come Italia ed Ungheria, ma che ha spaccato molti gruppi politici e soprattutto il PPE.
Ovvio che i nuovi edifici saranno “a norma”, altrimenti non potrebbero ottenere le concessioni edilizie di costruzione, ma cosa succede per quelli esistenti?
Su questo punto c’è stata battaglia, perché una “conquista” ambientale per gli eurogreen concretamente si tradurrà in un obiettivo disastro per milioni di proprietari di immobili chiamati negli anni prossimi a ristrutturare (per ora senza aiuti pubblici) le proprie abitazioni, uffici, strutture agricole, stabilimenti o capannoni industriali.
Per ridurre le emissioni bisognerà infatti dotare tutti gli immobili esistenti – soprattutto quelli di categoria F e G, ovvero buona parte di quelli italiani – con cappotto termico, nuovi infissi, nuove caldaie a condensazione e non più a metano e soprattutto pannelli solari che dovranno di fatto coprire gran parte dei tetti, indipendentemente dalla localizzazione degli edifici.
Vi immaginate cosa sarà dal punto di vista ambientale coprire con pannelli i centri storici dei paesi e delle cittadine italiane? Eppure questa è la volontà europea.
In ogni caso sono lavori che costeranno moltissimo e secondo Confedilizia si graverà in media dai 20 ai 55mila euro per proprietà immobiliare, pena la loro esclusione – di fatto già oggi – dalle possibilità di compravendita. In altre parole tutti gli edifici non modernissimi vengono di fatto già da ora decurtati nel loro valore, perché gli acquirenti dovranno di fatto impegnarsi ad effettuare le ristrutturazioni secondo tempi definiti ed assumendosene responsabilità e costi: ovvio che varrà di meno un edificio da ristrutturare, eppure spesso la casa è il bene di investimento e di rifugio primario di milioni di famiglie italiane.
Quello che viene presentato come conquista ambientale diventa così un onere gravissimo soprattutto per i proprietari di case unifamiliari o non recenti, che sono la gran parte, ad esempio, di quelle esistenti nei paesi di antica formazione, in collina, nei centri storici, nelle periferie urbane e in generale negli immobili popolari o quelli costruiti fino a pochi anni fa.
In Italia circa 6 milioni di edifici dovranno essere ristrutturati in pochi anni considerando solo le classi F e G, con una spesa stimata in 270 miliardi di euro, ovvero dieci anni di “finanziarie”. Ma secondo alcuni, i soldi potrebbero essere molti di più.
Se questo porterà sicuramente lavoro alle imprese edili e ricchezza per i produttori di pannelli solari (quasi tutti cinesi), è ovvio un prevedibile aumento dei prezzi dei lavori di ristrutturazione, come è avvenuto per il superbonus edilizio.
Sarà la pubblica amministrazione a subire comunque e per prima il salasso: entro il 2028 (dopodomani!) tutti gli edifici pubblici italiani dovranno essere ad emissione zero, ovvero ci saranno circa 500mila immobili da ristrutturare a spese del “pubblico” e soprattutto delle amministrazioni locali. Ciascuno può commentare che enorme affare si delinea dietro le quinte e molti cominciano a chiedersi se la norma europea non nasconda anche l’ennesima speculazione.
Molte famiglie, nell’impossibilità di ristrutturare, potrebbero essere indotte a vendere magari a fondi immobiliari che comprerebbero le loro case lasciandole in affitto a lungo termine agli attuali proprietari che – specialmente se anziani – potrebbero essere attirati dal “business”.
Si potrebbe aprire quindi la strada ad una concentrazione di proprietà immobiliari da parte di gruppi finanziari più o meno esotici o anonimi, un rischio che andrà ben monitorato. Anche perché c’è poco da discutere: dalle norme sono esclusi solo gli edifici storici, le “case vacanze”, le chiese e gli edifici di culto, le caserme e le abitazioni temporanee.
In molti notano già che la svolta sarà l’interpretazione più o meno estensiva proprio della definizione contestabile di “edificio storico”. Se infatti è indubbiamente storico un edificio del Cinquecento, come considerare una casa costruita ai primi del Novecento?
Sicuramente l’Europa ha assunto una decisione di grande rilevanza, ma forse la gran parte dei cittadini non l’ha assolutamente capita; certamente non gli è stata – per ora – neppure ben spiegata nelle sue pratiche conseguenze.
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