Come sappiamo l’Europa ha deciso di procedere a passo spedito per far sì che vengano messi in regola gli immobili nell’ottica di un maggiore efficientamento energetico: nella fattispecie la data ultima di regolarizzazione che potrebbe penalizzare il patrimonio immobiliare degli italiani è il 2033.
Chi non avrà fatto lavori di efficientamento energetico entro questa data non potrà infatti procedere né all’affitto del proprio immobile e nemmeno alla vendita. Una totale esclusione dal mercato immobiliare che, per certi versi, rischia di azzerare il valore del proprio patrimonio. E dunque come salvarsi da queste oscillazioni dovute alla possibile applicazione della direttiva UE case green 2023-2033?
Direttiva europea case green: le ripercussioni sul mercato immobiliare
Ecco la guida completa per orientarsi e capire chi è escluso dagli obblighi e chi invece sarà obbligato a farne soltanto una parte tra quelli imposti dall’Unione Europea.
Prima di procedere ad elencare coloro che si sono effettivamente salvati perché casualmente inclusi nel novero di coloro che possono evitare di procedere all’efficientamento energetico delle case per il 2033, va detto che in alcuni casi effettuare i lavori può arrivare a costare anche 60 mila euro. Ciò potrebbe determinare una fortissima volatilità del valore immobiliare, mentre in altri casi potrebbe addirittura determinare un valore negativo: cosa farà infatti il proprietario di un immobile a Reggio Calabria il cui appartamento potrebbe costare all’incirca 15 mila euro?
Questo infatti potrebbe avere un valore di mercato negativo di almeno 45 mila euro, qualora l’obbligo di lavori ed efficientamento energetico dovesse arrivare a costare 60 mila euro. E cosa potrebbe fare dunque questo proprietario? Rivendere l’immobile per 75 mila euro? Impossibile dato che una simile domanda non incontrerebbe mai l’offerta. Dunque anche qualora i lavori dovessero essere effettuati, non è detto che ciò determinerebbe un’oscillazione del valore immobiliare vero e proprio e, soprattutto, non è detto che questa oscillazione, qualora dovesse verificarsi, debba essere necessariamente positiva.
Direttiva europea case green: gli immobili “salvi”
Anzi, più precisamente, possiamo dire che la direttiva case green, così com’è stata concepita ed attuata, ha proprio la convinzione (brutale) di voler determinare il mercato immobiliare, anche a scapito di quelle regioni europee non caratterizzate da una grande tasso di rispondenza tra domanda e offerta, al punto che il valore degli immobili resta quasi sempre basso. E come se ne esce dunque? In particolare la soluzione da considerare oggi, al netto del proprio budget, è quello di dover necessariamente comprare un immobile nelle aree in cui queste direttive non si applicano: vale a dire i centri storici in quanto il patrimonio paesaggistico e immobiliare potrebbe essere protetto dal ministero dei beni culturali: come potrebbe essere infatti concepibile la costruzione “obbligatoria” di un parco fotovoltaico in un centro storico tutelato dal Ministero e costituente anche il patrimonio Unesco?
Ecco infatti che in questi casi la tanto temuta e contestata direttiva UE case green non trova applicazione.
I numeri di coloro che possono derogare alla direttiva sono comunque limitati a 4 milioni di immobili, pari a 4 milioni circa di edifici che costituiscono il 26% degli immobili. Quindi gli edifici storici, le case vacanza e le seconde case, possono essere considerate “salve” dalla direttiva, ma come si pone la questione del mercato immobiliare se comunque, allorché prive di adeguamento, così come previsto dalla direttiva europea, non potrebbero nemmeno essere proposte sul mercato immobiliare?
Le altre categorie di immobili salvi dall’obbligo di adeguamento sono, a discrezione degli stati membri UE, che potrebbero decidere di disapplicare gli obblighi, sono:
- gli edifici adibiti a luogo di culto e svolgimento di attività religiose,
- fabbricati temporanei con utilizzo non superiore a 2 anni,
- siti industriali,
- officine,
- depositi,
- edifici di servizio non residenziali a bassissimo fabbisogno energetico e di riscaldamento o raffrescamento,
- stazioni di approvvigionamento infrastrutturale,
- edifici agricoli non residenziali utilizzati in settori disciplinati da accordi nazionali di settore sulla prestazione energetica,
- edifici residenziali utilizzati meno di 4 mesi l’anno oppure con un consumo energetico inferiore al 25% di quello presunto annuo e fabbricati indipendenti con superficie calpestabile totale entro i 50 metri quadri.
Dunque vediamo che la direttiva pone già in essere dei correttivi per limitare l’impatto sul settore del mercato immobiliare (ad esempio per le case con metratura inferiore a 50 mq), ma in che modo verrà poi applicata la direttiva per valutare effettivamente il patrimonio ed il reddito degli italiani?
Questo ancora non si sa, ma in Italia sono circa 11 milioni (pari al 74%) gli immobili che hanno una classe energetica inferiore alla D, e solo il 15,9% è già in classe E. I costi stimati per l’adeguamento degli impianti di riscaldamento e di produzione energetica da fonti rinnovabili per unità immobiliare vanno da un minimo di 20mila euro fino a un massimo di 80mila euro. Possiamo dire che la media di spesa potrebbe essere di 40-45 mila euro ad immobile. Troppo, anche per una famiglia media composta da 4 persone e che viva in periferia in un’abitazione di 120 mq.