Case da ristrutturare per adeguarle ai parametri energetici stabiliti dall’Unione Europea. La direttiva green in arrivo da Bruxelles dovrebbe approdare il 24 gennaio in commissione Ambiente dell’europarlamento per poi essere votata entro marzo. Se andrà in porto, come sembra, per il 60% dei proprietari di case italiani sarà un bel problema.



Si troverebbero a dover sistemare i loro edifici, investendo per rispondere alle richieste europee, tenendo conto che il primo termine da rispettare è quello del 2030, non così lontano, entro il quale occorrerà garantire almeno la classe E. L’obiettivo vero, da raggiungere successivamente, è comunque quello delle emissioni zero. “Una direttiva che riguarda sicuramente la maggior parte del nostro patrimonio edilizio”, ci spiega Federica Brancaccio, presidente di Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili. Che chiede un tavolo di lavoro nel quale elaborare una strategia per far fronte alle norme che saranno varate dall’Unione Europea.



Quali saranno le conseguenze sull’Italia delle nuove regole stabilite dall’Ue?

Questa direttiva non è un fulmine a ciel sereno, sono anni che se ne parla. Anzi, in precedenza era molto più dura, perché si parlava di un passaggio minimo in classe D entro il 2027 per arrivare poi nel 2030 e nel 2050 a emissioni zero. In più, l’ipotesi di qualche tempo fa era addirittura che senza il raggiungimento di questi obiettivi non si sarebbe potuto né vendere, né locare immobili che non avessero queste caratteristiche energetiche. Ora bisogna considerare che l’Italia è un unicum assoluto in Europa per la proprietà molto frammentata degli immobili: gli italiani sono quelli che hanno la più alta percentuale di case di proprietà, mentre in altri Paesi sono magari di società che poi locano. Abbiamo una proprietà parcellizzata, ma anche il patrimonio residenziale più vetusto.



Come si può affrontare un intervento del genere? Ai privati si chiederebbe uno sforzo immane dal punto di vista economico.

La posizione dell’Ance è che tutto quello che riguarda i temi ambientali e la riduzione di emissioni non può che trovarci d’accordo. Ci vogliono, però, degli strumenti che mettano il Paese in condizione di intervenire su questo enorme patrimonio da efficientare sotto il profilo energetico. E qui torniamo al discorso che noi facciamo da mesi: la questione degli incentivi fiscali e dei bonus va affrontata in maniera seria e strutturale per rispondere anche alle esigenze sia dell’ambiente sia a quelle dettate dalla direttiva europea. È impossibile che nella condizione in cui versa l’Italia come patrimonio e proprietà parcellizzata tutto questo si possa fare con interventi obbligatori dei privati, senza aiuti. Ci vuole una politica di incentivi fiscali seria, strutturale e sostenibile, altrimenti questi obiettivi non li raggiungeremo. È chiaro poi che una direttiva del genere per le condizioni italiane crea un problema di choc di valori immobiliari, è abbastanza inevitabile.

Ovvero nel momento in cui viene varata la direttiva, prima di arrivare alla ristrutturazione, la casa che non rispetta certi parametri si deprezza.

Per questo occorre una politica industriale di settore che dia incentivi, un sostegno per questi interventi e che non cambi ogni mese. E visto che c’è un’esigenza dell’Europa direi anche la possibilità di utilizzare, parlandone con l’Ue, dei fondi europei. È necessario. Lo abbiamo visto con il bonus: finché non ci sono stati incentivi seri con la possibilità di monetizzare i crediti (cosa che oggi è diventata un disastro, anche se questo è un altro argomento) non sono partite le riqualificazioni dei condomini. Oggi che abbiamo un direttiva di questo genere bisogna pensare a degli strumenti seri e di lungo periodo, magari, appunto chiedendo anche la possibilità di utilizzare fondi europei.

Bisogna rendere strutturali interventi che finora sono stati a spot, temporanei?

Sì, occorre lavorare su questi strumenti perché anche i cambiamenti continui senza un obiettivo e senza strategia di lungo periodo non fanno bene nemmeno al sistema industriale. Occorre una programmazione. Da mesi diciamo che bisogna creare un tavolo per ragionare su strumenti pensati nell’ottica del raggiungimento di certi obiettivi, senza cambiare continuamente – bonus sì, bonus no -, evitando tutto quello a cui abbiamo assistito nell’ultimo anno.

Con il superbonus le norme cambiavano praticamente ogni mese.

Certo, oltre al disastro che abbiamo oggi, con migliaia di imprese sull’orlo del fallimento oltre che condomini con i lavori lasciati a metà. L’importante, comunque, rispetto alla direttiva europea, è aprire un tavolo di confronto per capire quali sono gli argomenti migliori da sviluppare per affrontare il tema dell’efficientamento. Non possiamo dire di non essere d’accordo, sostenendo che vogliamo continuare ad avere edifici energivori. Non è questa la soluzione, non può essere un’opposizione strenua. La soluzione è di pensare di riqualificare il nostro patrimonio con regole certe e sostenibili. Occorre una strategia di lungo periodo, condivisa, altrimenti se non si fa niente, diventa un disastro: non efficienteremo energeticamente, ci sarà un crollo dei valori immobiliari e avremo pure le sanzioni dall’Europa.

Tra l’altro la normativa prevederebbe di raggiungere la classe E entro il 2030 e poi portare gli edifici in classe D entro il 2033 e tra il 2040 e il 2050 di diventare a zero emissioni. Quindi, in un certo senso, obbliga a una strategia.

Certo. Ripeto, è una cosa che è nell’aria da anni, non è che è stata messa sul tavolo improvvisamente. Ora occorre una strategia di lungo periodo.

(Paolo Rossetti)

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