“Tra il prezzo di una unità nuova, in classe energetica A, e un edificio in classe G già oggi c’è un differenziale nell’ordine del 20-25% in termini economici, dal punto di vista del valore al metro quadro. Quella in classe G costa il 25% in meno rispetto a quella nuova. Se oggi dovesse ‘caderci sulla testa’ questa normativa europea dovremmo metterci almeno un altro 10-15% in meno. Poi dipende dall’immobile”.
Vincenzo Albanese, presidente di Fimaa (Federazione italiana mediatori agenti d’affari) per Milano, Monza e Lodi, spiega così uno degli effetti della direttiva green sulle case che l’Unione Europea si appresta a varare per ottenere l’efficientamento energetico degli immobili. Un’operazione che porterà a lungo andare a una diminuzione delle bollette e dell’inquinamento, ma che è prevista con tempi stretti e modalità che allo stato attuale non sembrano sostenibili dai proprietari italiani.
Presidente, su cosa impatterà soprattutto la direttiva dell’Unione Europea?
In Italia abbiamo un patrimonio immobiliare obsoleto, il 60% del quale è stato costruito dagli anni 50 agli anni 80, immobili per la maggior parte classificati in classe G, la più bassa dal punto di vista energetico. Poi c’è un momento di interregno che arriva fino ai primi anni 2000 in cui c’è stato un tentativo di alzare la classe energetica e si è arrivati alla classe C. Dal 2003-2004 con la nuova legge regionale lombarda e una serie di incentivi sul prodotto in costruzione si è arrivati a una classificazione in classe B. Adesso tutto il prodotto di nuova costruzione è in classe A, A+, A++. Quindi la nuova norma impatterà in maniera significativa sull’usato. Ma pensare oggi a quello che può essere l’impatto economico sugli edifici usati dal punto di vista commerciale è difficile, perché non sappiamo qual è la norma. L’Europa sta facendo una serie di ipotesi, la normativa è in fase evolutiva, si sta lavorando anche politicamente per cercare di ottenere, quantomeno nella fase iniziale, quindi fino al 2030-2032, un effetto “morbido” della normativa.
La direttiva per come la conosciamo finora comporterebbe, comunque, un innalzamento dell’edificio in classe G di due classi energetiche entro sette anni.
Il problema non è tanto questo, ma che bisognerà intervenire due volte sullo stesso immobile, fino al 2033 per portarlo in classe D e poi entro il 2050 per portarlo a emissioni zero. Il problema più grosso che abbiamo per intervenire sul patrimonio è quello della proprietà, che è molto frazionata. I condomini subiranno un impatto non così leggero. Se abito in una villetta che è mia posso fare quello che voglio, ma all’interno di un condominio i problemi sono diversi: il cappotto lo devo fare come involucro sull’intero edificio. Questo sarà un problema non da poco. La proprietà in Italia è molto più frazionata rispetto ad altri Paesi europei, dove all’interno delle grandi città ci sono property companies che poi portano il prodotto in locazione. Noi propendiamo più per la vendita.
Quali effetti ha già avuto l’annuncio della nuova normativa sul mercato immobiliare?
Fino a qualche mese fa, fino a che non è arrivata questa normativa europea che aleggia sulla testa degli italiani, non c’era questa grande attenzione alla classe energetica. Ora che si parla di questa norma l’utente finale pone molta più attenzione alla classe energetica rispetto a quanto faceva sei mesi fa. Questo è un distinguo già oggi sul campo e lo sarà ancora di più.
Il deprezzamento, quindi, è già in atto da quando si è cominciato a parlare della direttiva?
Più che un deprezzamento si è verificata un’attenzione maggiore da parte dell’utente finale nel valutare in maniera diversa il prodotto. Sono molto più attenti se c’è una classe G, chiedendoti magari uno sconto maggiore. Quella dell’efficientamento energetico è una strada ormai tracciata. Pensiamo a quello che sta succedendo nell’automotive. L’Ue ha detto che nel 2035 non si dovranno più produrre macchine a combustione fossile: le auto dovranno avere un altro tipo di alimentazione. Le macchine sono energivore e inquinanti ma ancora più inquinanti sono gli immobili, cui fa capo oltre il 40% dell’impatto inquinante, all’interno delle grandi città in particolare.
L’obiettivo di rendere gli immobili meno energivori e meno inquinanti è comprensibilissimo, il problema è che viene chiesto di agire in sette anni, in tempi abbastanza stretti.
Ci abbiamo messo 80 anni a costruirle, le case, non possiamo pensare di efficientarle in sette anni. E la cosa peggiore è pensare che io faccio un primo step al 2030 e poi un altro al 2033. Sullo stesso immobile devo intervenire due volte a distanza di tre anni. Non è pensabile o fattibile. C’è da sperare in un atterraggio morbido e di avere tempi più lunghi per poter lavorare sugli immobili per quello che sarà un efficientamento obbligatorio.
Ma ci sono anche altre conseguenze possibili della direttiva, che riguardano direttamente le famiglie.
Sì, perché in Italia una grande quantità di ricchezza delle famiglie italiane è in immobili. Pensare che ci sia un depauperamento delle proprietà immobiliari in termini di valori vuol dire andare nella direzione di un depauperamento della ricchezza delle famiglie italiane. Bisogna assolutamente fare grande attenzione da questo punto di vista.
Il problema c’è anche per quanto riguarda gli affitti?
Sugli affitti decisamente meno. Se un immobile è efficientato dal punto di vista energetico dovrebbe consumare meno, quindi l’inquilino dovrebbe avere un impatto minore sulle spese di condominio.
Ma se il proprietario deve affrontare spese di ristrutturazione l’affitto non lo farà pagare un po’ più alto?
Certo che se metto a disposizione di qualcuno un immobile più efficientato e quindi la persona risparmia in termini di spese di condominio relative all’energia, posso anche pensare di avere un ritorno dal punto di vista locativo più alto rispetto a un immobile che rimane in classe energetica G.
E per chi non efficienterà gli immobili cosa può succedere?
Non mi sembra da quello che si sta evidenziando che ci sia l’obbligatorietà di intervenire; se non ci fosse sicuramente verrà fuori un altro problema: infatti c’è già qualcuno che ipotizza una sorta di carbon tax per gli immobili che non verranno efficientati.
Ma l’obbligatorietà non era già stata annunciata?
No, è una situazione in totale evoluzione.
Se i privati proprietari di qualche unità abitativa non avessero le risorse per realizzare l’efficientamento energetico, gli immobili in questione non potrebbero far gola a operatori più solidi, in grado di far eseguire i lavori necessari, e che quindi subentrerebbero per comprarseli?
La singola unità immobiliare difficilmente fa gola all’investitore internazionale che invece ha altri obiettivi. In Germania e nei Paesi del Nord ci sono property companies con grandi patrimoni immobiliari che vanno sulla locazione per mestiere. In Italia invece il patrimonio è frazionato, difficilmente può essere di interesse per un investitore di quel tipo, molto speculativo. Non è che si mettono a pescare a strascico appartamenti in giro. Può esserci qualcuno del mestiere che comprerà appartamenti usati di scarsa qualità investendo per portarli a una classe energetica più alta. L’immobiliarista italiano è più portato a fare l’operatore di piccolo cabotaggio. Acquista, rimette a posto e rivende. Fa una riqualificazione classica della singola unità immobiliare.
(Paolo Rossetti)
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