La direttiva Ue sull’efficientamento energetico è stata approvata lo scorso 9 febbraio dalla commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia del Parlamento europeo con 49 voti favorevoli, 18 contrari e 6 astensioni e da allora fa sempre più discutere.

Ed è un bene che sia così, visto che comporta conseguenze potenzialmente gravissime per le famiglie italiane. L’iter sarà lungo e laborioso, proprio per questo spetta al governo italiano adottare la strategia di intervento più opportuna per modificare la direttiva in modo da mitigarne l’impatto.



Ne abbiamo parlato con l’europarlamentare della Lega Alessandro Panza, responsabile delle politiche per le aree montane della Lega e consigliere per la montagna del ministro per gli Affari regionali.

Onorevole Panza, facciamo il punto su questa direttiva, che per i più e ancora un oggetto misterioso. Come nasce questo provvedimento e a che scopo?



Nel dicembre 2021, nella seconda e ultima ondata di pubblicazioni di testi normativi e non del pacchetto “Fit for 55”, la Commissione europea ha pubblicato la proposta legislativa sulla “Energy Performance of Buildings” (EPBD). Nelle settimane precedenti uscirono documenti non ufficiali (leak) della direttiva, rilanciati anche sulla stampa italiana, che prefiguravano lo spauracchio del divieto di vendita o di affitto in caso di mancato raggiungimento degli standard energetici previsti dalla normativa stessa.

Le reazioni furono giustamente forti.

Infatti. Forse per questo motivo la Commissione nel documento ufficiale non presentò mai tali tipi di divieti, anche se le specifiche restrittive sulle classi energetiche rimasero e furono la base di discussione per Consiglio e Parlamento. Da allora però è intervenuta la guerra in Ucraina, che ha spinto le istituzioni europee ad essere ancora più ambiziose nella ricerca dell’autonomia energetica, vedendo l’efficienza energetica degli edifici come una delle prime armi su cui puntare.



In sintesi di che cosa parliamo?

Di un ulteriore svantaggio per l’Italia. Come già accaduto in altri ambiti, queste politiche europee per l’efficientamento energetico degli edifici penalizzano il nostro Paese, come è già successo per la produzione alimentare con il Nutriscore, con l’etichettatura del vino equiparato alle sigarette, alla farina di grillo o alla distruzione del nostro comparto automobilistico con il delirio dell’auto elettrica, che non si sa come caricheremo. L’efficientamento energetico è un tema che sta a cuore a tutti, ma va affrontato con concretezza e realismo. Non possiamo sacrificare sull’altare dell’ideologia green intere categorie produttive fondamentali per la nostra economia.

Ma cosa ci chiede l’Europa con queste direttiva sulla casa? 

Tutti i nuovi edifici costruiti nell’Unione Europea dovranno essere a emissioni zero entro il 2030, mentre gli edifici esistenti dovranno diventare a emissioni zero entro il 2050 con step intermedi per gli immobili residenziali: raggiungere la classe energetica E entro il 1° gennaio 2030 e la classe D entro il 1° gennaio 2033. Il punto cruciale del testo è rappresentato dagli articoli che delineano classi energetiche minime e tempistiche, suddividendo fra pubblico e privato e poi fra edifici nuovi ed edifici esistenti.

Per gli edifici nuovi?

L’articolo 7 tratta dei requisiti minimi per gli edifici nuovi: gli edifici pubblici devono essere “Zero-Energy Buildings (ZEB) dal 2026 e quelli privati dal 2028. Per ZEB si intendono edifici il cui impatto complessivo fra entrate (produzione di energia rinnovabile) e uscite (consumi) sia quantomeno vicino allo zero. Ma ancora più preoccupante e utopistico per il nostro Paese sono i requisiti minimi per gli edifici esistenti.

Cosa dicono questi requisiti?

Gli edifici pubblici (e non residenziali in genere) entro il 2027 dovranno essere almeno in classe energetica E ed entro il 2030 almeno in classe D, per gli edifici privati invece classe E entro il 2030 e classe D entro il 2033.

È obbligatorio per tutti gli edifici?

Sono previste esenzioni per edifici che non sono soggetti a rispettare i requisiti minimi della normativa, edifici che lo Stato membro decide di mettere in tutela storico-architettonica, come gli edifici religiosi, o edifici singoli di superficie utile minore di 50mq, edifici utilizzati meno di 4 mesi l’anno. Peccato che riguardi al massimo il 22% del parco immobiliare residenziale e non oltre il 1° gennaio 2037.

Cosa significa in concreto?

Vuol dire che dovranno essere ristrutturati in pochi anni milioni di edifici residenziali. Non consideriamo poi che in una moltitudine di casi gli interventi richiesti non saranno neppure fisicamente realizzabili, per via delle particolari caratteristiche degli immobili interessati. I tempi ridottissimi, poi, andranno a minare tutto il mercato immobiliare, con un aumento spropositato dei prezzi, la mancanza di materie prime, ditte specializzate, ecc.

Quale saranno le conseguenze?

La conseguenza immediata sarà una perdita di valore della stragrande maggioranza degli immobili italiani e, quindi un impoverimento generale delle nostre famiglie. Il nostro Paese è un unicum, dove la casa è considerato il bene rifugio per eccellenza.

Sono previsti incentivi?

Non sulla carta. Si suppone un’eventuale possibile creazione di un fondo dedicato, chiamato “Energy Performance Renovation Fund” che prenderebbe risorse, non specificando dove, per supportare il rinnovamento di edifici pubblici e privati esistenti.

Le coperture?

Non indicando la copertura, è aria fritta. Chiamiamole buone intenzioni. Quando si interviene in questo modo prima si trovano le coperture e poi si fa la legge.

Nella direttiva si parla anche di panelli fotovoltaici?

Per quanto riguarda i pannelli solari si dice che vadano obbligatoriamente installati in alcune situazioni predeterminate: entro il 2027 su tutti gli edifici pubblici o non residenziali, entro il 2029 su tutti i nuovi edifici residenziali, entro il 2033 su tutti gli edifici che subiscono una ristrutturazione significativa (“major renovation”).

E per quanto riguarda le caldaie?

Per le caldaie a combustibile fossile in diversi punti la normativa dice che i piani nazionali di rinnovamento edilizio devono prevedere, fra le altre cose, oltre allo sviluppo dell’energia solare sugli edifici, l’eliminazione totale delle caldaie a combustibile fossile entro un termine deciso dagli Stati nel recepimento nazionale.

Quali sarebbero i tempi?

La direttiva prevede il recepimento degli Stati membri entro 24 mesi dalla pubblicazione della normativa in Gazzetta ufficiale europea e dati i tempi del negoziato della futura negoziazione interistituzionale si arriverà a vedere pubblicata in Italia la normativa di recepimento fra il 2025 e 2026.

(Max Ferrario)

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