La nuova direttiva rider mira a tutelare i lavoratori della GIG economy che svolgono un’attività rischiosa e priva di tutele (sotto ogni aspetto). La normativa coinvolge non solo chi fa consegne a domicilio ma anche i parasubordinati, gli autonomi e chi lavora a chiamata.
L’obiettivo è tutelare questa categoria di lavoratori sempre più privi di tutele e con delle esigenze fisiologiche mancanti. Nella direttiva che il Parlamento e il Consiglio europeo devono approvare si fa riferimento a dei contratti CCNL e ad un monitoraggio più accurato contro i sistemi automatizzati dalle aziende.
Direttiva rider da tutelare: cosa prevede la nuova normativa
La prossima direttiva per i rider e i lavoratori coinvolti dalla GIG economy (che secondo le stime riportate da Sky Tg 24 sarebbero 30 milioni soltanto nell’Unione Europea), è stata approvata con un primo accordo ufficiale (e dopo lunghi mesi a trattare la vicenda).
L’ok della normativa arriva a favore dei lavoratori che si appoggiano ai sistemi digitali per poter lavorare: dai rider alle baby sitter, dai tassisti ai badanti.
L’approvazione è arrivata il 14 ottobre dopo che i Paesi Membri dell’UE hanno dato il loro voto a Lussemburgo, e l’unico Paese ad essersi astenuto è la Germania.
Contro gli algoritmi selettivi
Una delle prime tutele necessarie per chi lavora con le piattaforme digitali è il monitoraggio da parte di risorse qualificate che possano approvare eventuali contestazioni e/o ricorsi dei lavoratori contro gli algoritmi preimpostati e selettivi.
Lavoro autonomo fittizio
Il sistema dovrà essere in grado di individuare lo stato occupazionale di chi lavora nella gig economy, in modo tale da contrastare il fenomeno del lavoro autonomo fittizio che riguarderebbe più di 5 milioni di persone.
Contrattazione collettiva
Il sindacato europeo Etuc (Confederazione europea dei sindacati) richiama all’attenzione tutti i Paesi Membri dell’UE, richiedendo una contrattazione collettiva a favore dei lavoratori coinvolti nella Gig Economy.
Prima che la direttiva rider (e non solo) entri in vigore, potranno trascorrere fino ad un massimo di due anni per permettere agli Stati Membri di adeguarsi correttamente.