La digitalizzazione sta cambiando, sotto i nostri occhi, profondamente il mondo del lavoro come lo abbiamo conosciuto fino a ieri, migliorando, sicuramente, la produttività e aumentando la flessibilità, ma, allo stesso tempo, comporta anche alcuni grossi rischi per l’occupazione e le condizioni di lavoro specialmente per le fasce più deboli di lavoratori.
Le nuove tecnologie basate su algoritmi, compresi i sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, hanno consentito, ad esempio, la nascita e la crescita delle piattaforme di lavoro digitali. Queste nuove forme di interazione digitale e le nuove tecnologie nel mondo del lavoro se ben regolamentate, e attuate, possono, quindi, almeno sul piano teorico, creare opportunità di accesso a posti di lavoro dignitosi e di qualità per le persone che tradizionalmente non disponevano di tale accesso.
Tuttavia, se non regolamentate o mal disciplinate, possono anche dar luogo a una sorveglianza mediante la tecnologia, accrescere gli squilibri di potere e l’opacità del processo decisionale, nonché comportare rischi per condizioni di lavoro dignitose, salute e sicurezza sul lavoro, parità di trattamento e diritto alla riservatezza.
Nello specifico il lavoro mediante piattaforme digitali è svolto da persone fisiche tramite l’infrastruttura digitale delle piattaforme di lavoro digitali che forniscono un servizio ai propri clienti. Queste interessano una vasta gamma di ambiti e sono caratterizzate da un alto livello di eterogeneità in termini di tipi di piattaforme di lavoro digitali, settori interessati e attività svolte, nonché di profili delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali anche se, probabilmente, il primo pensiero va a quelle “app” che ci permettono, con un click, di avere una pizza o del sushi a casa in pochi minuti senza alzarsi dal divano.
Attraverso gli algoritmi, le piattaforme di lavoro digitali organizzano, in misura minore o maggiore a seconda del loro modello di business, l’esecuzione del lavoro, la sua retribuzione e il rapporto tra i clienti e le persone che svolgono il lavoro.
Molte delle piattaforme di lavoro digitali esistenti sono poi imprese internazionali che sviluppano le loro attività e i loro modelli di business in diversi Stati membri o a livello transfrontaliero.
In questo quadro, nei giorni scorsi, il Consiglio europeo per l’occupazione, la politica sociale, la salute e i consumatori (a cui partecipano i ministri competenti dei 27 Stati membri) ha approvato in via definitiva la direttiva sul miglioramento delle condizioni di lavoro tramite piattaforme digitali su cui si lavorava da oltre due anni. L’esecutivo sottolinea come il testo approvato lasci la libertà, a livello nazionale, di declinare i princìpi della direttiva nel nostro sistema, mantenendo le giuste tutele per i lavoratori indipendentemente dal loro status, senza penalizzare le imprese.
Si ritiene, insomma, che sia raggiunto un buon punto d’equilibrio e una soluzione europea condivisa in risposta alle sfide di un mondo in continua evoluzione.
I prossimi mesi saranno, insomma, quelli che impegneranno tutti gli attori coinvolti nel trasformare una “buona” decisione europea in leggi e norme concrete valide ed eque, nella vita concreta, per lavoratori e imprese del nostro Paese.
La costruzione di un’Europa sociale e che piace ai suoi cittadini (a giugno si vota per il nuovo Parlamento europeo) passa anche dalla capacità “italiana” di trasformare le scelte fatte a Bruxelles in buoni compromessi nella vita delle nostre città.
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