Il cambiamento climatico ha risvegliato le coscienze, infatti molti cittadini ora studiano le etichette dei prodotti per verificare la loro impronta ambientale. Molte aziende ne stanno approfittando per trarne profitto, usando per i loro prodotti diciture come “bio” o “eco”. Un fenomeno noto come greenwashing, che si configura quando si danno informazioni false o ingannevoli sulla sostenibilità di un prodotto. Per questo l’Unione europea ha approvato una direttiva, che gli Stati membri devono recepire entro due anni, contro le frodi ambientali rafforzando la protezione contro le pratiche commerciali sleali e, soprattutto, per proteggere i consumatori. L’Ue sta così stabilendo ciò che è e ciò che non è ecologicamente sostenibile, in modo che nessuna azienda o settore possa sfruttare le lacune della legge e ottenere un vantaggio competitivo sleale.



In questo modo si garantisce un mercato libero e paritario sia per le aziende che per i consumatori. La normativa sul greenwashing nello specifica modifica due atti legislativi del 2005 e del 2011, rispettivamente sulle pratiche commerciali scorrette e sui diritti dei consumatori, per rafforzare il “percorso di transizione verde”. Di conseguenza, ogni cittadino potrà prendere decisioni di acquisto consapevoli, perché questa direttiva pone fine a frodi come false dichiarazioni ambientali, informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali di prodotti o aziende, etichette di sostenibilità non trasparenti e non credibili.



COME FUNZIONA DIRETTIVA UE CONTRO IL GREENWASHING

Per la prima volta l’Unione europea vieta l’utilizzo di “indicazioni ambientali generiche senza che siano riconosciute prestazioni ambientali eccellenti pertinenti all’indicazione“. Questo pone fine ad alcuni mantra del marketing degli ultimi anni, come “biologico”, “ecologico”, “verde”, “buono per la natura”, “ecocompatibile”, “rispettoso del clima”, “neutrale dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica” o “efficiente dal punto di vista energetico”, definizioni vietate in assenza di parametri di supporto. Infatti, la direttiva Ue contro il greenwashing limita l’uso di dichiarazioni ingannevoli che attribuiscono determinati valori a un intero prodotto o a un’azienda quando, in realtà, si applicano solo a un particolare aspetto del bene o a una particolare attività dell’azienda. Inoltre, vieta anche l’esposizione di marchi di sostenibilità non basati su un sistema di certificazione riconosciuto o che non siano stati stabiliti da autorità pubbliche.



Se poi i dati pubblicizzati sull’impronta ambientale delle attività di un’azienda si basano sul sistema di compensazione, non sarà consentito affermare che un prodotto ha un impatto ridotto o neutro sulle emissioni di gas serra. Alla luce di tale direttiva Ue contro il greenwashing, affermazioni come “neutro per il clima”, “neutro per il carbonio certificato”, “positivo per il carbonio”, “emissioni nette zero”, “compensazione climatica”, “impatto climatico ridotto” o “impronta di CO2 ridotta” possono essere fatte solo se si basano “sull’impatto reale del ciclo di vita del prodotto e non sulla compensazione delle emissioni di gas serra al di fuori della catena del valore del prodotto, poiché l’una e l’altra non sono equivalenti“.