La stretta che la Ue sta preparando sugli immobili che sprecano energia, negando loro la possibilità di essere venduti o affittati se non saranno in regola con la classe energetica entro le scadenze prefissate – proposta di direttiva che dovrà tuttavia essere discussa prima dalla Commissione e poi dal Parlamento Ue –, qualora venisse applicata in Italia, “rischierebbe di mettere fuori mercato 15-20 milioni di unità immobiliari”.
Non a caso Confedilizia, l’associazione dei proprietari, lancia un allarme a ragion veduta: “Stiamo seguendo l’iter di questa proposta di direttiva fin dall’inizio – afferma il suo presidente, l’avvocato Giorgio Spaziani Testa – attraverso l’Unione internazionale della proprietà immobiliare nella quale rappresentiamo l’Italia. E sappiamo che con la sua approvazione ci ritroveremo con milioni di immobili che necessiterebbero di interventi che piccoli non sono, anzi”. Ecco perché Confindustria, che concorda sugli obiettivi di efficientamento energetico degli immobili, chiede “tempi meno stringenti e un meccanismo non basato su obblighi e divieti, bensì su incentivi”.
Perché siete fortemente contrari alla bozza di proposta della direttiva Ue?
Per una questione di principio, a tutela del diritto di proprietà nella sua pienezza. Non si può in alcun modo condizionare un esercizio elementare del diritto di proprietà, cioè la vendita o l’affitto di un immobile, a qualsivoglia situazione, presupposto, caratteristica dell’immobile.
E nel merito?
Trasposta in Italia, la direttiva avrebbe effetti devastanti.
Per quali motivi?
Primo: nel nostro paese sono numerosissimi gli immobili che non raggiungono nemmeno la prima delle pretese Ue, quella del 2027. Secondo: avendo un patrimonio immobiliare molto particolare e caratteristico rispetto a quello della maggior parte degli altri paesi europei, questa direttiva non fa altro che risentire dello stesso difetto di altre direttive riguardanti gli immobili: applica e impone regole uguali a contesti assai diversi.
Lei accennava a effetti devastanti. Che impatto avrebbe sul mercato immobiliare italiano?
L’effetto finale si tradurrebbe in un danno all’intera economia, perché molti non ce la farebbero a raggiungere per tempo gli obiettivi di classe energetica e quindi una serie infinita di immobili uscirebbero dal mercato della compravendita, perdendo valore, in molti casi fino all’azzeramento.
Si può quantificare questo danno?
Una stima economica è difficile. Sui numeri degli immobili coinvolti possiamo prendere i calcoli dell’Enea: ci sarebbero fra i 15 e i 20 milioni di unità immobiliari che non hanno attualmente i requisiti richiesti. Poi bisognerà vedere, entro le varie scadenze previste, quanti sarebbero in grado di raggiungerle e rispettarle. Difficile da dire.
E sui costi dell’intera operazione?
Sui costi da sostenere non è facile fare stime precise, per due motivi. Innanzitutto, provvederebbero di più all’adeguamento della classe energetica quelli che hanno intenzione di vendere o affittare l’unità immobiliare, mentre i proprietari sarebbero meno invogliati. E poi tutto dipenderà dai livelli di incentivi fiscali e di detrazioni, che in Italia esistono ormai da tanti anni, come il bonus 36% poi diventato 50%, fino al più recente superbonus 110%. Ma che bonus saranno in vigore nei prossimi anni e quali risorse riceverà il governo in quel momento in carica, in seguito all’eventuale approvazione di questa direttiva, nessuno oggi lo può sapere. E sono comunque oneri che peserebbero sul bilancio pubblico.
Si rischia lo stop di vendite e affitti già nell’immediato?
Già adesso il solo accennare alla direttiva sta avendo il suo impatto, come dicono le grandi catene di agenzie immobiliari. In termini psicologici è una proposta che sta creando paura e incertezza, soprattutto in chi volesse acquistare una casa per sé o per villeggiatura senza escludere di venderla o affittarla in futuro. Chiaro, poi, che dal 2027 tantissimi immobili non avrebbero più la possibilità di essere messi sul mercato. Paura e incertezza si potrebbero fin da subito superare se ci fosse a livello europeo, e non solo italiano, l’intenzione di cambiare strada. Scelta che può ancora avvenire.
Oltre all’Italia, ci sono altri paesi preoccupati per le possibili conseguenze della direttiva?
Non siamo da soli, ma la preoccupazione è tanto più sentita quanto più è diffusa la proprietà immobiliare, perché coinvolge tante famiglie e tanti piccoli risparmiatori. Una caratteristica di paesi come il nostro o come la Grecia e la Spagna, che si sono infatti attivate con forza, segnalando la questione ai media e alla politica, contro questa direttiva.
Ma migliorare la classe energetica degli immobili è una scelta condivisibile: già oggi le case poco efficienti faticano a trovare mercato. Che cosa si potrebbe fare?
Come Confedilizia siamo d’accordo con gli obiettivi di efficientamento energetico, ma non esattamente con quelli troppo ambiziosi e vincolanti previsti dalla direttiva. Ci teniamo sia alla tutela dell’ambiente sia alle tasche dei nostri rappresentati, perché nel medio-lungo periodo gli standard energetici consentono risparmi significativi in termini di spesa immobiliare annuale.
Però?
Questi obiettivi vanno perseguiti e raggiunti non attraverso un sistema di obblighi e divieti, ma attraverso un meccanismo equilibrato di incentivi.
Quali?
Che il superbonus 110% non fosse eterno lo sapevano tutti, a partire dai suoi stessi ideatori, ma è stato una spinta notevole verso l’efficientamento energetico. Quello che si dovrebbe fare, e che non è stato ancora impostato, è una programmazione di incentivi pluriennale tale da agevolare e incentivare gli interventi dei proprietari sia in condominio che di singole abitazioni, tenendo però presente che bisogna fare i conti con le risorse: da un lato, i redditi sono quelli che sono e, dall’altro, gli immobili devono in certi casi sopportare una tassazione di tipo patrimoniale.
Come se ne può uscire?
Se si obbliga a fare qualcosa, bisogna far sì che chi deve ottemperare all’obbligo non debba sopportarne tutto il costo né andare incontro a brutte sorprese. Serve quindi un sistema di incentivi duraturo, che dia certezze senza alterare il mercato. Fermo restando che noi, a differenze del resto d’Europa, teniamo molto non solo all’efficientamento energetico, ma anche al miglioramento della sicurezza degli edifici in chiave anti-sismica e anti-calamità.
Visto che il Next generation Eu spinge con forza sulla transizione verde, non dovrebbe essere la stessa Europa a mettere a disposizione i fondi per la messa a terra di ciò che prevede la direttiva?
In parte già avviene: alcuni di questi incentivi sono stati inseriti nel quadro ampio del Pnrr. Per il futuro, se c’è un vero interesse superiore per l’ambiente, oltre alle risorse statali, dovrebbero esserci anche fondi messi a disposizione proprio da chi questi obblighi li impone. Ricordandoci, però, che parliamo sempre di risorse dei cittadini contribuenti.
L’Italia dovrebbe bloccare sul nascere questa proposta di direttiva?
Assolutamente sì, e già sono arrivate dichiarazioni di esponenti politici di diverse formazioni molto critiche. Bisognerebbe perlomeno cambiare impostazione, chiedendo uno stop per poterne approfondire meglio alcuni aspetti, spingendo sperabilmente verso una normativa che porti non a una serie di obblighi e divieti, che non fanno altro che ingessare il mercato, bensì a incentivi e stimoli, magari non necessariamente fiscali o economici. E possibilmente sarebbe il caso di allungare anche i tempi di attuazione, oggi troppo stretti.
(Marco Biscella)
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