Agitazione tra le imprese europee per la proposta di direttiva Ue sulla due diligence di sostenibilità che si sta avvicinando ad una fase decisiva. All’orizzonte ci sono disposizioni onerose, con un ambito di applicazione troppo grande, ma anche norme, sanzioni e responsabilità che rischiano di creare ulteriore incertezza giuridica, burocrazia e rischi per le aziende. L’allarme ha portato le organizzazioni delle imprese italiane, tedesche e francesi (Confindustria, Bdi e Bda, Medef) a scrivere una lettera – firmata dai presidenti Carlo Bonomi, Sigfried Russwurm, Rainer Dulger, Patrick Martin – mandata ai rispettivi governi per esprimere la grande preoccupazione in merito ad alcuni punti del testo. Ad esempio, c’è condivisione sui valori, come il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente, infatti il mondo imprenditoriale e le associazioni di categoria stanno guidando la trasformazione verso catene del valore più sostenibili. Ma le imprese chiedono un equilibrio e un approccio pragmatico, soprattutto in un periodo di incertezza economica e geopolitica.
Come evidenziato dal Sole 24 Ore, le imprese europee chiedono condizioni quadro affidabili, certezza e chiarezza giuridica per affrontare una situazione economica volatile. Il timore è che la pressione per la fine della legislatura Ue possa portare ad una rapida risoluzione delle questioni legali riguardanti le complesse normative sulla catena di approvvigionamento, con un’accelerazione a scapito dei contenuti. Infatti, la proposta di direttiva CSDD è stata pubblicata dalla Commissione Ue a febbraio 2022, le riunioni tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue sono iniziate a giugno, ma oggi dovrebbe esserci quella finale.
PAN “REGOLAMENTAZIONE UE INVASIVA”
Stefan Pan, delegato di Confindustria per l’Europa, al Sole 24 Ore sottolinea ciò di cui hanno bisogno le imprese, cioè «una regolamentazione che metta al centro competitività e crescita». Invece, negli ultimi anni a livello europeo c’è stata «una tendenza verso una regolamentazione sempre più invasiva, che impatta in particolare sulle Pmi e la loro capacità di competere». Dunque, la proposta di direttiva sulla due diligence di sostenibilità delle imprese, «ne è un chiaro esempio». Il problema è che l’ambito di applicazione di questa direttiva è molto ampio, quindi c’è preoccupazione riguardo la «capacità delle imprese di rispettare gli obblighi previsti».
Per Pan, «non ci dovrebbero essere obblighi di due diligence sulla parte a valle della catena del valore, le disposizioni dovrebbero essere riferite esclusivamente alla catena di fornitura in particolare ai fornitori con cui le imprese hanno un rapporto contrattuale diretto, potendone influenzare il comportamento». Le imprese vogliono la garanzia che gli Stati membri, recependo la direttiva a livello nazionale, non possano andare oltre i requisiti europei nei settori chiave di tale regolamentazione. Infatti, regimi giuridici divergenti in materia di due diligence sarebbero onerosi e potrebbero mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi della direttiva CSDD. Un altro tema importante è l’ambito di applicazione, quindi la capacità delle imprese di assolvere agli obblighi della direttiva.
“SERVONO OBBLIGHI CERTI E SANZIONI PROPORZIONATE”
Da un punto di vista pragmatico, solo le grandi imprese hanno i mezzi per adeguarsi. Andrebbe evitato di coinvolgere altri settori, come le Pmi, anche perché non c’è stata alcuna valutazione d’impatto. Invece, il giudizio è positivo per quanto riguarda l’inclusione della priorità degli obblighi in base al rischio, dunque le catene del valore puramente europee dovrebbero essere a basso rischio. Ma le imprese, compresi i servizi finanziari, per le organizzazioni firmatarie, non dovrebbero essere obbligate a realizzare una due diligence obbligatoria prima di vendere un prodotto o fornire un servizio. Inoltre, ritengono che vada rivisto anche il punto sulla responsabilità civile. Dovrebbe riguardare solo le azioni imputabili all’azienda, come previsto anche dagli ordinamenti giuridici nazionali della Ue.
Quindi, ogni disposizione che contraddice questo principio va eliminata. C’è poi il capitolo sanzioni, che devono essere proporzionate. Il mondo delle imprese è contrario alla soglia minima proposta del 5% del fatturato globale: l’importo massimo non dovrebbe superare il 2%. Va poi ridotto l’allegato: gli obblighi devono essere certi e gestibili dalle imprese, che non possono sostituirsi alle responsabilità degli Stati. La direttiva europea non deve indurre le aziende a ritirarsi da alcune aree del mondo o da alcune attività. Infine, la direttiva CSDD dovrebbe restare coerente con la direttiva Corporate Reporting Directive, la nuova normativa relativa alla comunicazione societaria sulla sostenibilità.