La seria crisi del nostro sistema formativo esige interventi culturalmente coraggiosi, chiaramente orientati a “liberarsi dall’arretramento normativo, dai pregiudizi e dai corporativismi che tendono alla conservazione dell’esistente”. Così sostenevamo alla fine del convegno di Roma nel novembre 2007. Così molte voci si sono levate a chiedere, fino alle recenti più autorevoli. Il manifesto conclusivo di quel convegno ribadiva le proposte presentate alla politica nel primo convegno del 1992 dal nucleo di presidi che nel 2001 fonderà DiSAL.

La chiave di volta di quelle proposte è solo ed innanzitutto la piena attuazione dell’autonomia scolastica, dato costituzionale da sempre inattuato. Oggi comprendiamo che non esisterà mai scuola autonoma se non radicata nel proprio territorio, intessuta di serie alleanze educative. Si tratta di “riconoscere che la bontà di una scuola non la realizza nessuno individualmente” (don Luigi Giussani, Il rischio educativo).

Gli elementi dell’autonomia sono semplici: veri organi di governo delle scuole; assegnazione diretta agli istituti per quota capitaria di tutte le risorse necessarie; reclutamento diretto dei professionisti e del personale; dirigenti scolastici messi in grado di rispondere dei risultati.

Il resto dei cambiamenti necessari, che proponiamo da tempo, ne costituiscono solo lo sviluppo: drastica riduzione di norme; livelli essenziali di apprendimento terminali; carriere per i professionisti della scuola con valutazione professionale legate al merito ed alle prestazioni; valutazione esterna delle scuole come miglioramento delle istituzioni; trasferimento della contrattazione al livello solo regionale e nazionale.

Oggi questo quadro di cambiamenti si deve misurare con l’esigenza di maggior rigore economico nella spesa pubblica, che tuttavia non può diventare pretesto per impoverire la scuola. Chi taglia deve avere un disegno adeguato alle prioritarie necessità formative.

Condividiamo pienamente quanto sostenuto dal Presidente della Repubblica: “Per quel che riguarda la scuola l’obiettivo di una minore spesa non può prevalere su tutti gli altri e va formulato con grande attenzione ai contenuti e ai tempi, in un clima di dialogo”.

La scuola travalica i governi ed ha bisogno di radici nelle comunità, in una concreta trama di soggetti educativi.

Le scuole, le famiglie, le comunità locali, le imprese, il mondo del volontariato sociale vanno messi in grado di affrontare i tanti problemi legati all’istruzione e formazione, uscendo dagli schemi dello scontro ideologico e della conservazione corporativa. Solo questa trama attiva di nuove alleanze permetterà all’impresa non più solitaria della scuola di riuscire.

Autonomia e competizione non in direzione di 10.000 isole in concorrenza fra loro, ma verso 10.000 piante radicate nel loro terreno sociale, tese ciascuna a promuovere alleanze. Per tutto questo occorrono nuove competenze anche nella direzione di scuola: saper lavorare in rete, governare alleanze territoriali, curare la creazione di valore aggiunto da parte della scuola e saperlo valutare. Occorre che la direzione di istituto sappia proporre una visione di sviluppo della scuola.

Lo scorso anno abbiamo sostenuto il forte nesso tra miglioramento dei risultati scolastici e direzione di qualità nelle scuole statali e non statali, tesa ad introdurre nei processi e nelle scelte il loro scopo, il vitale significato.

Se il dirigere è favorire esperienze educative indispensabili per l’imparare, le condizioni fondamentale saranno una concordia tra adulti e un realismo nel metodo. Dunque una forma di scuola che tenga al centro non un destinatario di contenuti, o un apprendista da adattare al mercato, ma la persona, mistero irriducibile: quei giovani sui quali la società tutta è chiamata ad investire tempo, energie e risorse.