Sul dibattito di questi giorni attorno all’urgenza di riformare la formazione dei docenti per migliorare la qualità della scuola, riprendiamo un testo del 2004 con il quale DiSAL avanzò le proprie proposte all’allora Ministro Moratti.
Il testo mantiene tutta la sua attualità, specie in un momento nel quale alcuni intellettuali universitari tentano di ridurre tutta la problematica ad una formula tanto inefficace quanto inutile che (semplificando) così riassumiamo: aumentare le discipline da far studiare ai futuri docenti e lasciare il monopolio della formazione all’Università.
Le linee del testo di DiSAL si muovono su invece su questi binari, tutti assolutamente attuali:
Ad insegnare ed a dirigere scuole, senza negare l’importanza di una adeguata preparazione culturale, si impara soprattutto attraverso un’esperienza criticamente valutata;
Alla riforma della formazione iniziale dei docenti occorre con urgenza affiancare l’istituzione dell’alta formazione dei dirigenti scolastici, oggi totalmente assente;
Non è possibile riformare la formazione iniziale degli uni e degli altri senza collegare strettamente queste ad una riforma del loro stato giuridico e del reclutamento.
Da allora ad oggi nulla è mutato. Quanti Ministri dovremo attendere ?
Proposte in materia di formazione iniziale ed in servizio di docenti e dirigenti
presentate al Ministro Moratti durante il Forum delle Associazioni professionali dei docenti e dirigenti della scuola – Seduta del 9 giugno 2004
1. Quale docente e dirigente
La nuova formazione iniziale di docenti e dirigenti dovrà avere un solido percorso di studio, adeguato al profilo culturale e professionale necessario oggi per insegnare e per dirigere scuole.
A- Ne primo caso lo specifico di questa formazione è di formare al “mestiere dell’ insegnare”, superando il dualismo tra docente disciplinarista e docente didatticista per giungere ad una “immagine” di insegnante come soggetto che sa che cosa insegnare, ma contemporaneamente perché e come insegnarlo. A tema della formazione deve esserci la piena padronanza dei presupposti teorici e culturali delle soluzioni metodologiche, didattiche ed organizzative vigenti nel mondo scolastico, in una visione di autonomia sostanziale e di solidarismo reale dell’esercizio della professione, superando la divaricazione tra ambito della ricerca culturale e ambito della didattica. C’è anche da rifiutare la pretesa di una competenza disciplinare esaustiva, quasi una bulimia, prima di entrare nella professione, dovendosi attuare anche per i docenti il lifelong learning.
B- Nel secondo caso si tratta di formare ad una direzione educativa, culturale ed organizzativa della scuola. dove il “mestiere del dirigere” scaturisce dalla esperienza necessaria della docenza, all’interno quindi di una carriera che appartiene all’unica finalità di istruzione e formazione della scuola. Per questo occorre contrastare la tendenza (già in atto) a ridurre la direzione di istituto ad una funzione unicamente amministrativa o manageriale, che non solo snaturerebbe totalmente la professione, ma alla lunga renderebbe invivibile la comunità scolastica; con la conseguenza di dover poi istituire comunque un’altra figura di coordinamento didattico e col conseguente problema di rapportarla a tutta l’attività organizzativa e gestionale della scuola. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente (D.Lgs 59/99, oggi articolo 25 del D.Lgs 165 del 2001) in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico sta diventando per profilo e funzioni più vicino alla carriera burocratico amministrativa che non a quella di tipo educativo, culturale e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi spesso prive di una vera e propria direzione istituzionale, un vuoto che non può essere riempito né dalle “funzioni obiettivo” (elettive), né tanto meno dai collaboratori – compreso il vice – scelti dal dirigente. Ambedue le soluzioni sono un surrogato della carriera docente che dovrebbe essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione, responsabilità per i risultati. Occorre quindi che il disegno di riforma si armonizzi anche e si completi con la delineazione di una direzione delle scuole che non sia in contrasto con la natura della funzione scolastica e che costituisca effettivamente uno sbocco naturale della carriera docente, non una fuoruscita o fuga dal ruolo e dalla professione.
C- Non possiamo però dimenticare infine che una ridefinizione delle professioni della scuola necessita di un inserimento di queste in un organico quadro di norme sulle scuole autonome, attualmente ancora fortemente incompleto. Non solo si tratta del problema degli organi di governo rinnovati, dovendo decidere “di chi è la scuola” e “chi governa che cosa”, ma (contrariamente ai blocchi stabiliti dall’art. 21 della legge 59) avviare un progressivo ripensamento della modalità di reclutamento di docenti e dirigenti, per affidarli in via progressiva ai futuri organi di governo delle scuole autonome, come d’altra parte avviene, ad esempio, per ospedali e Asl.
2. Per nuove figure, nuove istituzioni
A- Riteniamo decisiva, per la riuscita della nuova formazione iniziale, l’istituzione di “luoghi terzi” (alla scuola e all’Università), “enti a carattere universitario”, con autonomia giuridica e finanziaria (sul modello, ad esempio, degli IUFM francesi), governati da organi autonomi a rappresentanza plurima (università, scuole autonome, enti locali, associazioni professionali), progettati e guidati da competenze diverse (docenti di scuola, docenti universitari, formatori, rappresentanti delle associazioni professionali, degli EELL). Luoghi quindi deputati alla ricerca educativa e alla formazione iniziale e in servizio del personale di scuola, formazione professionale, enti locali. Il territorio di questi istituti dovrebbe essere regionale, con possibilità, per le regioni più affollate, di sedi decentrate provinciali per la scuola dell’infanzia, il livello primario e i corsi più affollati del secondario. Le facoltà di scienza della formazione e le scuole di specializzazione per l’insegnamento attuali si sono rivelate una attuazione rovinosa di un principio giusto, ripetendo insegnamenti disciplinari già seguiti, giustapponendovi spesso un vario didatticismo e riducendo il tirocinio ad un episodio passeggero, per il quale succede che molte università non valutino la normale attività di insegnamento assunta dallo specializzando.
B- Decisivo per la riuscita efficace di queste “comunità accademiche di formazione” (valorizzando aspetti interessanti anche del modello scozzese) è il reale coinvolgimento delle scuole autonome e delle associazioni professionali di docenti e dirigenti, come agenti di qualità e responsabilità professionale:
1- nella formazione iniziale e nel reclutamento, con il riconoscimento di funzioni specifiche nell’ambito delle convenzioni tra le Università e le Istituzioni Scolastiche;
2- nella formazione in servizio e nella ricerca didattica che non può assolutamente essere monopolio esclusivo dell’università pena il progressivo astrarsi dalla realtà viva del saper insegnare o saper dirigere. In tal modo gli istituti di formazione potrebbero assorbire (anche per evitare inutili doppioni) gli attuali IRRE;
3- nella formazione a figure di carriera, ivi compresa quella della dirigenza scolastica, che valorizzino le diverse funzioni nell’ambito della docenza e ridefiniscano i profili professionali necessari a sostenere le nuove scuole dell’autonomia. Il ruolo ufficiale alle Associazioni professionali e disciplinari stimolerebbe appieno il valore euristico sul piano culturale e professionalizzante sul piano didattico del “sapere pratico”.
3. Durata e organizzazione dei corsi
A- Sul piano della durata, mantenendo l’ipotesi del biennio solo in caso di una laurea di indirizzo triennale, non si può non rivalutare l’ipotesi di percorsi differenziati per i diversi ambiti della docenza: infanzia e primario; secondario; qualifiche professionali; educandati. L’ipotesi del biennio di laurea magistrale, potrà rimanere solo se il secondo anno verrà prevalentemente dedicato (con almeno 6 ore settimanali) al primo dei due anni di formazione-lavoro previsti (collocando il secondo anno dopo la laurea magistrale – vedi al 4.b e c). Se non si riaffronta il problema della diversificazione della durata, l’attuale progressivo allontanamento dall’insegnamento nel ciclo dell’infanzia e nella primaria sarà destinato ad aumentare, con le conseguenze prevedibili, specie a fronte del notevole
B- Nell’ipotesi del percorso biennale, il primo anno del curricolo formativo potrebbe essere dedicato agli aspetti metodologici e didattici, quelli del “come” insegnare. Questo primo anno si potrebbe concludere con un esame di accesso al secondo, durante il quale dovrebbe prevalere l’attività di formazione-lavoro a scuola (per non meno di 6 ore settimanali), accompagnata dallo studio degli aspetti pedagogici, psicologici e relazionali dell’insegnamento, oltre che da laboratori di riflessione critica dell’esperienza di insegnamento e da corsi sulle nuove tecnologie. La scuola sede del contratto di formazione-lavoro, sotto la guida del docente tutor e del dirigente scolastico, dovrebbe poi avere un ruolo essenziale per la valutazione fatta alla fine del corso. Il biennio potrebbe concludersi con un esame finale abilitante, che assegna una valutazione alla quale concorrono: prove effettive, i formatori dell’istituto di formazione ed il dossier costituito dai rapporti del docente tutor e del preside della scuola di contratto.
C- Sempre presso l’istituto universitario di formazione della docenza e dirigenza scolastica potrebbero trovare collocazione i corsi per altre figure professionali della docenza (documentarista, orientatore, insegnamenti speciali) e quindi della dirigenza, di cui si accenna più oltre nella “formazione in servizio”.
D- Resta infine aperto ed urgente da definire il problema della revisione delle classi di abilitazione e della loro relazione con gli insegnamenti, come sviluppato più avanti. Si tratta infatti di un retaggio burocratico-corporativo che ostacola nuovi livelli di qualità della autonomia didattica delle scuole.
4. Dal tirocinio alla formazione-lavoro
A- Nell’ambito del convegno “Università’ e insegnanti” svoltosi a Bologna nei giorni 8 e 9 novembre il ministro Berlinguer ha affermato : “…Non ero entusiasta della distinzione tra tirocinio e insegnamento, …, abbiamo bisogno di un più forte intreccio. … La scuola di specializzazione ha bisogno di una forte integrazione dell’offerta teorica didattica delle discipline con chi ha operato sul campo per anni e bene…”. Se già fin dall’inizio c’era questa riserva, allora si comprende meglio perchè attualmente l’esperienza di tirocinio per i giovani (al di là della serietà che molti vi mettono) sia fortemente riduttiva, quando non demotivante rispetto alle attese ed alle esigenze reali di una formazione iniziale. Accade inoltre, sempre più spesso, che l’università non accetti di far valere come tirocinio l’insegnamento svolto nella scuola dove molti insegnano per necessità. Il palliativo dell’attuale tirocinio va quindi sostituito da un serio e consistente periodo di contratto di formazione-lavoro a scuola, sotto la guida di un docente “anziano” e del dirigente scolastico, un anno durante la formazione (nell’ipotesi del biennio) ed un anno coincidente con il periodo di prova per il contratto definitivo. In sostanza le attuali scuole di specializzazione devono lasciare il posto non ad una formazione specialistica fotocopia ma ad “una riflessione teorica e critica sul sapere pratico dell’insegnante” inteso come “insieme di competenze, di conoscenze e di abilità che rendono possibile la costruzione degli ambienti di apprendimento. E’ il patrimonio di capacità delle scuole stesse, il capitale che consente agli insegnanti di essere protagonisti dell’azione educativa” (M.G. Dutto).
B- Occorre quindi riconoscere la centralità della formazione “in situazione”, guidato e coprogettato tra istituto universitario di formazione e istituzioni scolastiche autonome, come momento complessivo e coordinato di progettualità, osservazione, intervento e riflessione e valutazione finale. Si deve trattare di un impegnativo ed efficace percorso di formazione-lavoro, integrato e caratterizzato dalla prevalenza del rapporto pratica-teoria rispetto all’acquisizione delle competenze teoriche educativo-didattiche. La formazione-lavoro durante la specializzazione, con un attività a scuola di non meno di 6 ore settimanali in classe (nell’ipotesi del biennio) può essere “un momento fondamentale, dove saperi teorici e pratici si fondono insieme alle strategie per diventare esperienza, osservazione, azione, ricerca e riflessione in itinere su ciò che si è osservato e fatto”. (dal documento della Siss Parma). Si comprende quindi come l’attuale docente tutor o supervisore sia una figura che ha scelto di uscire dalla scuola, mentre il tutorato dell’attività di formazione-lavoro dovrà essere immerso nella vita della scuola, nel “mestiere dell’insegnare”.
C- Per gli aspetti organizzativi e professionali un contratto di “formazione-lavoro” potrebbe retribuire già il periodo di formazione stessa (come avviene in molte professioni), naturalmente in modo adeguato a chi inizia il tirocinio: potrebbe trattarsi del 75 % del salario d’ingresso della scuola, mentre parte della restante retribuzione non assegnata al “tirocinante” potrebbe essere utilizzata come fattore incentivante per le funzioni tutoriali e per le istituzioni scolastiche ospitanti. Il dossier negativo della formazione-lavoro dovrebbe incidere in modo notevole sulla valutazione finale del periodo di formazione, permettendo eventualmente la ripetizione della attività per un solo altro anno.
5. Accessi e titoli finali
A- Rispetto al fabbisogno di docenti per le scuole statali e paritarie ci sembra improduttivo e contrario ad un buon principio di formazione-valutazione il permanere dell’attuale rigidità d’accesso: numero cattedre vacanti=numero accessi autorizzati. Il problema dell’accesso agli istituti di formazione si lega poi strettamente con il contratto definitivo, che, in un’ottica di sistema completamente rinnovato, potrà trovare soluzione sia di qualità professionale verificata, sia di adeguata risposta alla nuova condizione di autonomia degli istituti scolastici, solo attraverso un reclutamento attuato dalle scuole autonome medesime (singole o consorziate sul territorio, a secondo delle dimensioni), così come avviene da tempo nella sanità. Se questa potrà essere la modalità futura veramente rispondente al principio di autonomia delle scuole, si potranno trovare innovazioni intermedie che permettano progressivamente di superare l’attuale ormai assurdo sistema delle graduatorie. Si potrebbe iniziare con il reclutamento diretto per i tutti contratti temporanei (come già la riforma permette per gli esperti), per poi passare al reclutamento diretto su di una percentuale di organico più ampia.
Tornando ad un’ottica di prospettiva futura, si potrebbe ipotizzare che l’abilitazione ricevuta dal positivo superamento dell’esame finale dell’istituto universitario di formazione dia titolo per l’accesso ai concorsi di reclutamento che, sulla base delle disponibilità di organico stabilite dalle Regioni, le singole (o consorziate) scuole autonome potranno indire. La prova, prima della conferma di contratto a tempo indeterminato, avverrebbe (come già prima accennato) con un anno di contratto di formazione-lavoro.
B- La stessa legge 53/03 pone poi la necessità (a quanto pare già avviata in sede di trattativa Miur-sindacati) di revisione radicale del sistema delle abilitazioni e delle classi di concorso. Si tratta non solo di ammodernamento culturale e didattico ma soprattutto d’esigenza di uscire da un sistema che ingabbia e irrigidisce ogni possibilità di esercizio della autonomia didattica riconosciuta alle scuole. Come da tempo è stato fatto in altre nazioni a maggiore regime di autonomia (Germania, Inghilterra, Olanda, Danimarca, USA ecc.) e negli ultimi anni in nazioni della nuova Europa uscite da decenni di rigido centralismo comunista (Ungheria, Romania, Polonia, ecc.), occorrerà il coraggio di uscire prima o poi, dalla gabbia assurda del sistema delle classi di concorso, con tutti quei vincoli che impediscono, ad esempio, a un docente di lettere competente e preparato di insegnare geografia all’istituto tecnico, o attualmente (come invece si poteva diversi anni fa) ad un docente di filosofia di insegnare lettere.
6. La formazione in servizio
L’attività di futuri istituti universitari di formazione per docenti e dirigenti si lega necessariamente ad un sistema con diverse finalità: la formazione di figure professionali corrispondenti a livelli di carriera ai quali accedono i docenti che lo desiderano; la formazione in servizio offerta a tutti i docenti o dirigenti in collaborazione ma non in alternativa ad altri enti pubblici o privati qualificati; la stessa formazione alla dirigenza.
A- La scrittura del decreto o dei decreti dovrà contemplare anche l’introduzione di diverse figure della docenza, figure intese come vere a proprie articolazioni della carriera, come avviene in Francia, Germania, Inghilterra, ecc., ivi compresa la vicedirigenza e la dirigenza. A queste si deve poter accedere certo con una formazione (curata dagli istituti universitari) liberamente scelta da coloro che intendono perseguire questo percorso, ma a seguito di questa il passaggio deve avvenire con concorsi indetti dalle scuole autonome (singole o consorziate) sulla base di un organico definito. Questi concorsi terranno conto non solo della formazione ma anche della carriera e dei superamenti positivi delle valutazioni periodiche che primo a poi il sistema dovrà introdurre per la docenza, come per tutte le figure professionali della scuola.
B- Alcune di queste figure potrebbero però coincidere anche con una funzione accessibile già all’inizio della carriera: è il caso assimilabile al “docente documentalista” sul modello francese che potrebbe diventare, nelle scuole secondarie italiane un utile volano ad una scuola intesa anche come ricerca. Per le altre pensiamo a funzioni non assimilabili alle attuali “funzioni obiettivo”, ma a livelli di carriera dove, a fianco di un parziale insegnamento, siano possibili affidamenti di responsabilità di supporto curricolare ed extracurricolare. Tra l’altro, proprio per la loro natura di servizio alla vita della scuola, anche alle figure della vicedirigenza e della dirigenza dovrebbe essere possibile (o per lo meno non impedito ed a libera scelta del singolo) mantenere limitate attività di insegnamento, come avviene in diverse nazioni della vecchia e nuova Europa.
C- Per la formazione in servizio (o aggiornamento) rivolta a tutti i docenti e dirigenti del sistema scolastico pubblico (statale e paritario), riteniamo si debba puntare ad un sistema policentrico, dove possano essere attori l’Università, i futuri Istituti Universitari di formazione, le Associazioni professionali ed i Centri di ricerca pubblici o privati. Il tutto dovrebbe essere reso possibile con l’istituzione di un “bonus” che il docente (o il dirigente) possa spendere dove ritiene più utile, al quale non sia collegato nessun beneficio giuridico né economico, per evitare motivazioni estrinseche. La verifica della validità della formazione frequentata potrà avvenire solo nella ricaduta a scuola, laddove occorre attivare il sistema di valutazione accennato sopra.
7. La formazione dei dirigenti scolastici
Agli istituti di formazione universitaria sopra descritti potrebbe essere affidata anche la formazione dei dirigenti, in tal caso realizzando opportune sinergie interregionali finalizzate a corsi di alta specializzazione educativa, culturale, gestionale ed organizzativa.
A- La direzione educativa ed organizzativa di qualsiasi tipo di istituto del sistema pubblico nazionale, statale o paritario che sia, deve essere di elevato livello, in ragione dell’importanza dei compiti affidati alla scuola. Una “direzione di istituto” deve idealmente contemperare due funzioni chiave: da un lato quella di guida e coordinamento del lavoro formativo-didattico e dall’altro quella di capo dell’azione organizzativa, amministrativa e della valorizzazione e sviluppo delle risorse umane. Il compito della gestione (o governo) della scuola invece deve essere chiaramente affidato ad un Consiglio di Amministrazione dell’istituzione autonoma. Per non cadere in percorsi astratti dalla nostra storia nazionale, o comunque inefficaci, occorre tener presente che l’organizzazione del lavoro in ambito educativo non è un problema soltanto tecnico-amministrtaivo o manageriale, ma “coinvolge convinzioni professionali e valori condivisi”, necessità di padronanza e condivisione di elementi culturali ed educativi tipici del tipo di scuola diretta. Questo esige che la figura da formare debba necessariamente provenire dall’esperienza della docenza, debba in qualche modo in essa restare radicata, debba poter contare su potestà decisionali effettive, nell’ambito del mandato affidatogli dall’organi di governo scolastico che lo assumono con contratto ad obiettivi ed a termine e nel rispetto delle liberta fondamentali.
B- Sulla base del profilo della scuola espresso dal mandato del proprio organo di governo, i “direttori di istituto” dovrebbero elaborare strategie di sviluppo, formulare chiare richieste e porre obiettivi da raggiungere alle diverse componenti della comunità scolastica ed allo stesso tempo supportare e creare le condizioni affinché nell’intera comunità ognuno possa esprimere la propria parte per migliorare la qualità della scuola intesa come effettiva esperienza educativa e culturale in atto. I “direttori di istituto” debbono garantire soprattutto agli insegnanti quella sufficiente autonomia professionale necessaria affinché ognuno possa dare alla comunità scolastica tutto il loro positivo contributo educativo e culturale di cui è portatore, allo scopo di soddisfare le reali aspettative di giovani e famiglie. Per questo lavoro dovranno favorire tutte le condizioni necessarie alla crescita professionale degli insegnanti ed a significative esperienze educative per gli alunni. Quindi alla formazione del “direttore di istituto”, servono capacità di combinare competenze indirettamente educative, preparazione culturale, competenze di valorizzazione delle risorse umane, di creazione di lavoro d’equipe, di organizzazione amministrativa, di impostazioni di budget, così come l’uso delle tecnologie informatiche al servizio di tutto questo. Al suo fianco, la presenza di una figura di elevata competenza finanziaria ed amministrativa (quindi con laurea) con ampi spazi di delega da parte del “direttore di istituto”, ma comunque (anche per il budget) all’interno delle strategie di direzione di istituto, permetterà al “direttore di istituto” un più equilibrato impegno professionale sul compito delineato.
C I “direttori di istituto” dovrebbero essere selezionati dagli organi di governo delle scuole autonome (singole o consorziate, comunque ancora da creare) dai quali non possono essere estranei le autorità delle comunità locali di appartenenza. Essendo responsabili, limitatamente agli obiettivi ed alle risorse assegnate, per la performance della scuola nei confronti degli organi di governo, dopo la formazione iniziale e con l’ausilio di una formazione in servizio, dovrebbero essere valutati ad intervalli regolari, come le altre figure professionali della scuola.
D- Con la descrizione della figura di direzione educativa ed organizzativa sopra proposta, abbiamo anche voluto delineare le capacità e le competenze necessarie al suo esercizio e quindi necessarie ad un percorso formativo iniziale adeguato, che dovrebbe svolgersi per un anno presso gli istituti universitari di formazione di cui sopra, con la collaborazione attiva anche in questo caso delle scuole autonome e delle associazioni professionali della dirigenza. Per questo il “corso-concorso” di accesso alla dirigenza scolastica potrebbe comprendere: la condizione di almeno tre anni di vicedirigenza o altra funzione di carriera della docenza; una formazione d’aula, contemporanea ad una attività temporanea di vicedirigente scelto da un dirigente scolastico come collaboratore (si potrebbe attuare anche qui, con i dovuti livelli, il meccanismo di salario e di incentivo descritto per i docenti in formazione).
Roberto Pellegatta, Marco Zelioli
(Il documento è debitore ai contributi elaborati da Andrea Caspani e Lucia Micheletto – Riferimenti essenziali utilizzati: Legge 341 del 1990 – DM 26/5/98 – D.M. 509/99 – C.C.N.L. del 1999 e il Contratto Integrativo – Legge n. 30 del 2000 – Le Direttive sulla formazione degli ultimi anni – L’art. 21 Legge n. 59 e DPR 275 – Ovviamente tutte la legge 53/03 – CCNL 2003 – Pronunce del Consiglio Nazionale P.I. sulla Legge Delega e sulla formazione iniziale ed in servizio – Rapporto Confindustria ottobre 2003 – Il documento Bertagna, in particolare il capitolo riguardante la formazione iniziale – Documenti delle Siss di Parma e di associazioni nazionali di supervisori)