Ieri il quotidiano di Confindustria ha dato ampio spazio al caso surreale dell’azienda umbra “Fbm” che rischia di chiudere una linea produttiva di tegole in laterizi per l’insostenibilità dei costi dell’acquisto dei diritti di emissione di CO2. L’imposizione della tassa in questo caso si applica nonostante l’impianto sia particolarmente efficiente e solo perché, a causa della dimensione, non riesce a rientrare nei parametri che consentono di evitare il regime europeo sulle emissioni.
Il caso particolare racconta una vicenda molto più grande perché alle imprese europee ad alto consumo energetico viene imposta una tassa sulla CO2 sulle cui conseguenze c’è già ampia letteratura. La prima è che le produzioni europee sono messe fuori gioco rispetto a quelle dei Paesi che possono contare su un sistema energetico tradizionale ed economico e che non impongono la tassa. I tentativi europei di eliminare lo svantaggio imponendo dazi all’entrata rischia di far saltare rapporti commerciali consolidati e di suscitare reazioni che mettono a rischio le catene di forniture europee in una fase già complicata.
La seconda conseguenza è che, dove possibile, le imprese ribaltano il costo sul consumatore finale che a sua volta diventa il pagatore di ultima istanza della tassa. Una contrazione dei margini, nel caso opposto, riduce la capacità di investimento dell’industria, inclusa quella dedicata alla transizione. La terza conseguenza, esemplificata nel caso di “Fbm”, è che le imprese decidono “autonomamente” di ridurre l’offerta, anche quando la domanda è forte, pur di non assumere il rischio di pagare la tassa e produrre, al margine, con costi molto più alti. In questo caso si produce solo quello che rientra nella quota esente e non un metro di più. Il mercato si trova con un’offerta strutturalmente più bassa della domanda.
Queste tre conseguenze hanno un comun denominatore essendo tutte, direttamente o indirettamente, inflattive. Esse minacciano anche la competitività delle imprese europee quando i beni prodotti non hanno vincoli geografici fisici o regolamentari. Gli investimenti necessari per la rivoluzione green non sono fisicamente e finanziariamente possibili se le imprese che devono investire per la transizione sono soffocate dalle tasse o dalla mancanza di materie prime e componenti che oggi, e per molti anni a venire, arrivano da fonti tradizionali. Il cemento che serve per le fondamenta delle turbine eoliche incorre nella tassa CO2 e il risultato è che le turbine eoliche costano più di prima.
Una revisione della tassa europea si scontra con il ruolo che ha ormai assunto il meccanismo dei diritti CO2 all’interno del bilancio della Commissione. Le emissioni contribuiscono già per decine di miliardi di euro all’anno al bilancio dell’Unione; più i prezzi salgono e più si estende il numero dei settori coinvolti maggiore è l’introito per il bilancio europeo che, pare, dovrà espandersi per rispondere alle nuove sfide geopolitiche. In questo quadro un ripensamento dell’attuale approccio è destinato a scontrarsi con una grande opposizione nonostante gli effetti negativi sulle famiglie e le imprese europee.
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