I diritti sono una parte integrante e fondamentale delle democrazie moderne eppure, anche se può sembrare “provocatorio”, l’esagerazione nel campo dei diritti può rischia non solo di “invadere” ma addirittura di “minare” la struttura stessa dello Stato. A trattare lo spinoso argomento tutt’altro che marginale è lo storico francese Jacques Julliard su Le Figaro (riproposto integralmente oggi, con traduzione di Mauro Zanon, sul Foglio): il problema non è tanto sui diritti in quanto tale ma sulla “lista” che si aggiorna di anno in anno con istanze e pretese non sempre all’altezza dei 4 grandi diritti espressi nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 (cardine della Rivoluzione Francese).



Libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione: di questi tratta la Dichiarazione e su questi le democrazie moderne si sono strutturate (con l’aggiunta della libertà di culto e religione): ebbene, oggi non è più “solo” così, «la lista dei diritti riconosciuti, e soprattutto rivendicati, continua ad allungarsi. Oltrepassano ampiamente il campo della pura politica e si estendono a tutti i settori della vita sociale. Limitandoci all’ambito del sesso, allargato a ciò che viene chiamato il genere, una delle fonti più ricche della moderna ideologia dei diritti dell’uomo, vediamo fiorire quasi ogni giorno l’aspirazione al riconoscimento ufficiale di nuovi diritti», scrive Julliard. Non è solo il riconoscimento di nuovi diritti – legittimo e “innocuo” – ma è nella pretese di ottenere la loro consacrazione come ufficiale e accettato da tutti che rischia di trasformare la crescita dei diritti in una sorta di “pensiero unico” da accettare senza se e senza ma.



IL PROBLEMA DEI DIRITTI

«Così, seguendo le nuove tendenze che emergono oggi, il diritto di un uomo di essere riconosciuto come donna, o viceversa, non dipende più da criteri biologici e organici obiettivamente constatabili, ma dalle sensazioni dell’individuo, ed esige di essere riconosciuto sulla base di una semplice dichiarazione. Questo soggettivismo esacerbato raggiunge un livello tale che la società, disorientata da ciò che sta diventando talvolta contro la propria volontà, decide di fare marcia indietro e impone a tutti una lettura unica», riflette ancora Julliard avendo il coraggio di schierarsi nella Francia ed Europa di oggi fuori dagli schemi del “politicamente-culturalmente corretto”. Più diritti però non significa più unità e maggiore armonia, anzi: «l’illimitatezza dei diritti di ognuno, ossia l’estensione continua dei diritti individuali, non sfocia in una società armoniosa e con- sensuale, ma “in una guerra di tutti contro tutti per inter- posti avvocati”», scrive il saggista citando l’intellettuale Jean-Claude Michea.



E così questa nuova “ideologia dei diritti”, come la chiama Julliard, ha dislocato la proposta presenza in termini di dibattito pubblico dal Parlamento verso i tribunali. Si perde il senso generale di un interesse di tutti e per tutti: «non siamo più una Repubblica di cittadini», avverte lo storico parlando della Francia ma in realtà di ogni democrazia liberale che si rispetti – «ma siamo una repubblica di individui che rivendicano diritti. Così si perde l’idea stessa di interesse generale che tiene insieme le nostre società». Da ultimo, Julliard scrive come l’invocazione di questi diritti dell’uomo «combinata a una giudiziarizzazione sempre più intensiva della politica, è lo strumento di cui si servono le élite liberali e gosciste per eludere la volontà generale. E’ ora di tornare allo spirito del “contratto sociale” nei termini di Rousseau. Per lui, la volontà generale non è la somma delle volontà particolari, ma l’interiorizzazione in ognuno di noi di una volontà generale al di sopra delle volontà particolari».