Negli ultimi giorni hanno fatto discutere le immagini provenienti da Budapest con Ilaria Salis, la 39enne italiana apparsa ammanettata e incatenata in Tribunale. Le condizioni in Italia, però, non si discostano molto da quelle del Paese di Orban, come ricorda Libero. Una ricerca del 2021 dell’associazione Antigone ci parla di “gabbie, box, manette”. Si legge che “è frequente, in Italia e in molti Paesi europei, che gli imputati, in Tribunale, siano sottoposti a mezzi di coercizione. Spesso vengono tradotti da un ambiente all’altro del Tribunale con le manette ai polsi, nonostante la presenza di agenti ai loro fianchi”.
Nel nostro Paese spesso si appare davanti ai magistrati “ristretti in celle adiacenti all’aula dell’udienza, anche in questo caso ammanettati e affiancati da agenti di polizia”. E nelle aule vere e proprie capita che gli imputati seguano il processo in “gabbiotti” con sbarre in metallo. Tutto ciò in un Paese in cui, secondo la Costituzione, “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Manette e gabbiotti sono utilizzati per abitudine, nonostante la Legge dica altro. Dal 1999, inoltre “è vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta” spiega ancora Antigone. Ciò, però, spesso avviene.
Diritti violati nei Tribunali: “Detenuti accalcati nelle gabbie”
La Camera penale di Milano, nel 2016, in documento titolato “L’estetica della giustizia, le gabbie e l’ipocrisia” aveva denunciato che nelle aule milanesi, “in particolare negli inferi del piano terra nella zona dedicata alle direttissime, si assiste alla celebrazione dei processi con moltissimi imputati detenuti accalcati nelle gabbie”. Solamente negli ultimi anni, scriveva la Camera penale, “si registra una maggiore sensibilità, che porta ad ingressi scaglionati e quindi ad un minore affollamento”. Tutto ciò “oltre ad essere contrario ad un principio generale di dignità, ostacola in modo significativo una effettiva partecipazione consapevole dell’imputato al proprio processo e una utile comunicazione con il proprio difensore”.
Qualcosa è cambiato con la riforma Cartabia quando su pressione dell’Unione europea è stato aggiunto un comma all’articolo 474 del Codice di procedura penale: da allora spetta al giudice, con un’ordinanza apposita, disporre l’uso dei gabbiotti o di altri strumenti, spiega Libero. “In Italia per fortuna non capita di vedere in aula persone ammanettate piedi e mani” afferma il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella. “Ancora troppo spesso, però, accade che vi sia la traduzione in manette negli spostamenti verso l’aula. E talvolta, a seconda del tipo di persona sotto processo, gli imputati in aula sono chiusi nei gabbiotti, senza manette. Ma i mezzi di coercizione dovrebbero essere usati il meno possibile e solo se vi è un’espressa richiesta motivata in questo senso, ossia non di routine”.