I cittadini, già provati da una crisi economica che li destabilizza e li preoccupa per il futuro, avrebbero bisogno di certezze e di sicurezza: immaginiamoci, viceversa, lo sconforto e il disorientamento che provano di fronte a questa situazione deprimente in cui alcuni magistrati, rappresentanti dello Stato e della funzione giudiziaria, hanno utilizzato strumentalmente i loro poteri e le loro funzioni per farsi una guerra che nulla a che vedere con il servizio alla giustizia.
Stupisce che in questo clima la senatrice Finocchiaro martedì sera a Ballarò abbia dichiarato che la svolta nel Pd passerebbe attraverso l’incompatibilità per i suoi aderenti alla candidatura e allo svolgimento di incarichi politici per il solo fatto di essere sottoposti ad indagini: in questo sostenuta da Di Pietro, anch’egli presente alla medesima trasmissione.
Riemerge evidentemente la già denunciata (in un articolo precedente del 31 luglio 2008) ingannevole confusione tra legalità e moralità, di cui si è fatto interprete, dopo la stagione di Mani pulite, il leader dell’Idv e che ha avuto il suo culmine nell’intolleranza espressa in piazza Navona; ma, soprattutto, non si comprende come si possa anche solo proporre che la delicata funzione politica di un rappresentante dei cittadini possa dipendere dall’iscrizione dello stesso nel registro degli indagati da parte della magistratura inquirente che, più che mai in questo momento, almeno per una parte di essa, dimostra di essere “fuori controllo” e priva di responsabilità.
Si dovrebbe, viceversa, di fronte all’ulteriore, ormai patologico intreccio tra azione giudiziaria e politica affrontare coraggiosamente il problema di un filtro istituzionale tra i due poteri che permetta la reciproca autonomia e impedisca il ricatto dell’uno sull’altro (proposta più volte avanzata nei precedenti articoli sul tema).
I gravi fatti di questi giorni dimostrano, inoltre, in modo drammatico, come il sistema giudiziario sia al collasso sotto tutti i profili, non ultimo quello dell’organizzazione e del controllo dei suoi principali interpreti, i magistrati.
Non è pensabile, pertanto, rimandare ulteriormente una riforma complessiva della giustizia. Chi non intende collaborare in tal senso, sia parte politica o magistratura o associazionismo forense vario, arroccato sulle proprie parziali visioni, normalmente rivolte a tutelare il proprio interesse, si assume una grave responsabilità nei confronti dei cittadini e del bene comune.
Nel nostro paese, le riforme più pasticciate sono state quelle improvvisate sull’onda dell’emozione e dell’emergenza di fatti analoghi a quelli di cui si discute. Al governo e alla maggioranza, pertanto, chiediamo di affrontare il tema delle riforme perseguendo veramente come metodo quello del dialogo e dell’approfondimento, anche a costo di sacrificare in parte la celerità che l’emergenza parrebbe imporre; la materia in oggetto e le sue ricadute sull’assetto democratico e sui diritti fondamentali dei cittadini necessitano di un alto senso condiviso della giustizia e delle sue istituzioni. Per questo non è convincente, anche come metodo, che il Ministro Alfano annunci di presentare la riforma del processo penale prima di Natale: legittimo il dubbio che si tratti di una proposta già confezionata – quando e da chi? – da “prendere o lasciare”.
All’opposizione si chiede, innanzitutto, di smarcarsi definitivamente e in modo netto dal giustizialismo di Di Pietro e dell’Idv, con il quale è impensabile un leale confronto su questi temi, essendo la difesa ideologica dell’azione giudiziaria della magistratura, così come attuata fino ad oggi, l’unica ragione dell’esistenza di questo partito e il dichiarato antiberlusconismo il motivo del consenso di cui danno atto i sondaggi (è di martedì sera l’ultima minaccia di Di Pietro, per cui se si faranno riforme nel senso indicato genericamente dal ministro della Giustizia ci saranno “dieci, cento, mille piazze Navona”).
Alla magistratura si chiede di prendere atto che è necessaria una svolta, che al concetto sacrosanto di indipendenza e autonomia, bisogna affiancare e in parte sostituire quello di responsabilità e che ripensare una nuova forma di organizzazione della magistratura inquirente e di quella giudicante, piuttosto che riformare il Csm, non è necessariamente un fatto negativo (colpisce positivamente in tal senso la dichiarazione provocatoria del presidente della Corte d’Appello di Milano, dott. Grechi, che ha proposto una magistratura elettiva: esprime la coscienza che è indifferibile, per lo stato in cui siamo, una svolta radicale).
Nei momenti di maggiore difficoltà e smarrimento gli uomini di buona volontà, in genere, trovano le risorse e la compattezza per reagire e ripartire costruendo le cose migliori. Questo è quello che ci attendiamo e pretendiamo dalla politica e dai protagonisti del mondo giudiziario; che si affrontino i problemi senza l’ansia di risolverli nel breve periodo, ma ponendo le basi per una riforma complessiva che renda serio ed efficiente il sistema giustizia, tenendo conto delle diverse culture e sensibilità che si esprimono nel Paese e, al tempo stesso, accettando le decisioni che la maggioranza, abilitata dalla preferenza della popolazione, sarà chiamata a prendere.
Nel frattempo noi continuiamo ad auspicare un sereno confronto sui principali temi della riforma della giustizia, così come in modo esemplare si sta facendo su queste pagine.