Non si può «consumare una vita sulla base di una sentenza». Le parole del Card. Bagnasco sono ieri cadute come un giudizio pesante e al tempo stesso molto circostanziato sulla vicenda di Eluana Englaro, entrando nel merito del reale valore di quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Milano. Può una sentenza parlare, e per di più in maniera discutibile, di una sorta di testamento biologico, su cui ancora non esiste nessuna legge? Si può riconoscere il diritto di morire?
Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte Costituzionale, è convinto di no, e ritiene pertanto che la sentenza susciti «profondissimi dubbi di incostituzionalità».
Presidente Baldassarre, la sentenza della Corte d’Appello di Milano salta in un colpo solo tutto il dibattito, che deve avvenire in sede legislativa, sul tema del testamento biologico: che problemi crea questo in termini di conflitto di attribuzione?
Non parlerei espressamente di conflitto di attribuzioni, che è materia molto complessa. Certamente però ci troviamo di fronte a una sentenza che si potrebbe definire “creativa”, e che assume delle decisioni senza base giuridica. Gli estensori di questa sentenza sostanzialmente si sono spinti troppo in là rispetto a quello che dovrebbe essere il campo d’azione di un esponente del potere giudiziario.
Se Eluana morisse e la Cassazione rivedesse quella sentenza, che conseguenze ci sarebbero?
Quella non è una sentenza definitiva, e questo impone a tutti scelte molto ponderate. Se si dovesse procedere mettendo in atto l’interruzione dell’alimentazione, che porterebbe alla morte di Eluana, sulla base di questa sentenza e con un’impugnazione ancora pendente, si verrebbero a creare i presupposti per responsabilità abbastanza gravi. Per sua cautela consiglierei dunque estrema prudenza al padre di Eluana, e quantomeno di attendere la sentenza definitiva.
Che valore ha dal punto di vista giuridico il riferimento al volere di Eluana? Può la testimonianza dell’amica di Eluana avere il valore di prova?
Questa è una sentenza che è stata fatta molto male, perché si presume fondata sulla volontà del soggetto interessato, il quale però non può parlare. La testimonianza su cui si basa poi il “ragionamento” della sentenza non ha alcun valore giuridico, per il semplice motivo che la materia non è regolata. È una testimonianza che non prova nulla nel senso che non c’è nulla da provare, non essendoci materia giuridica. Il testamento biologico nel nostro ordinamento non è disciplinato, e non esiste certo la libertà di decidere per il suicidio: se anche dovessi arrivare a dimostrare che una persona vuole farlo, questo non mi autorizzerebbe certo a metterlo in atto. Nella teoria, la testimonianza è una prova, ma in questo caso si prova che cosa? Si prova, o si proverebbe, una cosa che non ha alcuna rilevanza giuridica ai fini della decisione. Potrà magari valere sul piano morale, ma non certo sul piano giuridico.
Bisognerebbe anche sapere se Eluana avrebbe accettato questo tipo di morte, che potrebbe durare diversi giorni e provocare molto dolore.
Certo, ci sono tutta una serie di cose che sfuggono e che non possono essere dedotte da questa testimonianza. Ma, ripeto, il punto essenziale è quello dell’insussistenza di tutto il discorso: se anche la prova fosse affidabilissima – e non lo è – non avremmo comunque l’autorizzazione a mettere in atto alcunché, non essendo la materia regolata. Prima deve esserci un pronunciamento su questa materia in sede legislativa, per quanto riguarda il cosiddetto testamento biologico. Oltretutto io mi auguro che quando il legislatore regolerà questa materia non voglia affidarsi a simili mezzi di prova, che mi sembrano essere molto discutibili e decisamente aleatori.
Ha secondo lei una certa rilevanza anche dal punto di vista giuridico l’appello delle suore della clinica di Lecco, le quali dicono «lasciate Eluana a noi»?
No, direi che rimaniamo comunque nell’ambito etico-morale, non in quello giuridico. Sono i genitori a decidere della collocazione del corpo della figlia; resta però fuor di dubbio che non possono invece decidere della sua morte. E se dovessero farlo, non essendo la sentenza definitiva, ripeto che a mio avviso ci sarebbero serie responsabilità penali. Non siamo certamente in presenza di un accanimento terapeutico, quindi interrompere il trattamento significherebbe compiere un atto di eutanasia, il che naturalmente non è ammesso.
La sentenza solleva dubbi anche in termini di incostituzionalità?
La Cosituzione, all’articolo 2, riconosce il diritto alla vita, come ha chiaramente detto la Corte Costituzionale; non c’è invece il diritto a morire. Dal punto di vista costituzionale quindi la sentenza lascia profondissimi dubbi.