La recente sentenza della Corte di Cassazione ed ancora di più il provvedimento esecutivo della Corte civile di Appello di Milano hanno introdotto nel nostro ordinamento un tipo di relazione tra due soggetti giuridici (ed in particolare nel caso di specie tra il tutore legale – il padre di Eluana – ed il soggetto che si vorrebbe dallo stesso tutelato – Eluana –) che avrà come esito di fatto la morte di una persona. Ed è proprio un simile esito a ridestare dal torpore il legislatore che è richiamato a rivendicare su di sé il proprio ruolo in una materia così delicata quale quella relativa al diritto (indisponibile) alla vita e a “condannare” un uso strumentale del diritto positivo (non esistono infatti norme di diritto positivo che giustificano simili decisioni ma certo ne esistono di segno opposto) da parte dei magistrati. In quest’ottica, dunque, il legislatore, in prima battuta, ha ragionevolmente prospettato la proposizione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Infatti, ritenere che un giudice possa decidere sulla vita di una persona, pur accertata la volontà di un determinato soggetto di non proseguire la vita stessa, è quantomeno azzardato – perché privo di fondamento giuridico – e rivoluziona il rapporto tra stato e individuo e il rapporto tra individui. Come noto, l’esame del nostro ordinamento – che vieta l’ eutanasia, il suicidio assistito e l’omicidio consenziente – ci porta ad affermare che una decisione quale quella presa in relazione al caso di Eluana Englaro rappresenta non già un atto preter legem, bensì un atto contra legem in quanto non esiste una legge che permette che, su volontà del paziente, gli venga tolta la vita e i principi vigenti in materia giustificherebbero semmai una decisione, di segno opposto, opposta a quella presa a tutela della vita e non contro la stessa.
E’ chiaro, certo, che la proposizione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato non dovrà certo esaurire l’attività del legislatore in materia: molti sono i punti che necessitano di essere chiariti e sviluppati (dai contorni – spesso fumosi – del diritto di rifiutare le cure, alla possibilità di redigere un testamento biologico) ma si pone come un passo necessario al fine di ristabilire un ordine sul ruolo dei magistrati e sulla sottoposizione degli stessi al diritto positivo vigente, come recita del resto l’articolo 101della Costituzione, per il quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge e non viceversa.