Questa tavola rotonda è chiamata a discutere dei temi della “giustizia e dei diritti umani”, contenuti nel discorso di papa Benedetto XVI rivolto il 18 Aprile scorso alle Nazioni Unite. In quel momento non ho potuto fare a meno di chiedermi se quelle persone avessero interamente colto tutte le implicazioni delle sue parole. Poiché, come in molti discorsi di Papa Benedetto XVI, anche in questo sono presenti passaggi piuttosto complessi, espressi sinteticamente. È perciò un discorso, come si dice, che va“sviscerato”.



Le disposizioni, rilasciate in quella sede, erano rivolte a tutti quelli che desiderano, essere «protagonisti» invece che «nessuno», nel nostro mondo segnato dai conflitti. Per questo, il fatto di valutare accuratamente questo discorso durante questo Meeting, assume un peso notevole. Nel 1948, gli ideatori della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ricevettero un considerevole supporto dal Cardinale Angelo Roncalli. Anche Papa Giovanni Paolo II ha spesso parlato a favore della Dichiarazione, come «una delle più alte espressioni della coscienza umana dei nostri tempi». Fu durante il pontificato di Giovanni Paolo II che il movimento internazionale dei diritti umani – con la dichiarazione del 1948, sua stella polare – dimostrò il suo enorme potenziale, come forza necessaria per i successivi sviluppi di pace. Eppure, nel 1989 il Pontefice espresse la sua preoccupazione perché la «Dichiarazione non contiene le basi antropologiche e morali per i diritti umani che proclama». Poi nel 1998, mise in guardia dagli attacchi alle due caratteristiche essenziali dei diritti umani: la loro universalità e indivisibilità.



C’è stata una grande curiosità riguardo alle parole che Papa Benedetto avrebbe pronunciato all’Onu. Oggi, la Dichiarazione è diventata il punto di riferimento primo per le discussioni internazionali. Papa Benedetto ha sottolineato questi fatti all’inizio del suo discorso: «I diritti umani stanno entrando sempre più nel linguaggio comune e nel substrato etico delle relazioni internazionali».

Ma il successo ha avuto i suoi costi. Più l’ideale dei diritti umani internazionali ha mostrato il suo potere, più i conflitti si sono acuiti, usati per fini diversi, non tutti rispettosi della dignità umana. Nel 1948 molti risero della possibilità che una manciata di semplici parole sulla verità, di persone coraggiose decise a «chiamare per nome ciò che è bene e ciò che è male», potessero cambiare il corso della storia. Chi avrebbe pensato che il progetto dei diritti umani sarebbe diventato così potente da rischiare di ritorcersi contro se stesso, e contro la persona umana? Il Papa ha iniziato la sua lezione elogiando la Dichiarazione, che si propose «di riportare la persona al cuore delle istituzioni, delle leggi e della società». Ma quelle espressioni di apprezzamento sono accompagnate da un insieme di preoccupazioni. Il breve discorso mette in luce almeno 9 dilemmi: 1) la minaccia posta dal relativismo culturale, 2) il rischio del positivismo, 3) la confusione sulle sue origini, 4) la tentazione dell’utilitarismo 5) il dilagare di un approccio selettivo dei diritti, 6) la crescente pretesa di nuovi diritti, 7) un’interpretazione iper-individualistica, 8) la mancanza di una relazione fra diritti e responsabilità, e 9) il trattamento della libertà religiosa sollevata dal secolarismo dogmatico. Quello che rende queste sfide scottanti, è che molte di queste sono emerse da quegli sviluppi che quasi tutti quelli che si dicono amici dei diritti umani, considerano passi in avanti per l’umanità.



(Mary Ann Glendon, ambasciatrice Usa in Vaticano)