La decisione del Presidente della Repubblica di non controfirmare il decreto legge che vietava – ma solo fino all’emanazione della legge sul testamento biologico – l’interruzione dell’alimentazione e idratazione ha suscitato indignazione e sconcerto in quella parte del Paese che considera viva Eluana. Il dibattito che ne è seguito ha mostrato la fragilità delle motivazioni addotte e la problematicità della scelta compiuta, priva di quelle cautele che sarebbero state necessarie vista la gravità del bene in questione, la vita.
E’ stato ampiamente ricordato come la valutazione della necessità ed urgenza sia parte delle prerogative dell’esecutivo e che per questo era sensato l’atteggiamento di self restraint della Corte Costituzionale, che considerava l’accertamento degli stessi come esercizio di discrezionalità politica.
Quando in passato la stessa Corte asserì che, in futuro, avrebbe considerato incostituzionali i decreti se carenti di detto presupposto, fu il Parlamento a rivendicare a sé, in sede di conversione, il potere di avallare o meno le scelte politiche del governo. Questo per ribadire che la sussistenza dei requisiti che il Presidente ha preteso col suo niet di garantire non è devoluta ai circuiti di garanzia del nostro sistema (Presidente e Corte) ma deve restare nell’ambito del processo politico, del rapporto tra Parlamento e Governo, che rispondono al corpo elettorale delle loro scelte.
Per tacere poi del fatto che l’urgenza e’ nel caso di specie tutt’altro che assente visto che vi è da conservare una vita povera di espressioni esteriori ma così ricca di significato per chi con amore l’accoglie e la cura. Ed è francamente inaccettabile che l’ordinamento consenta che ci si disfi di un bene (in questo caso del bene sommo, la vita) e ad un tempo non consenta a alcuno di raccoglierlo e di farne buon uso secondo la sua scala di valori senza con questo recare danno ad alcuno. Discutendo con illustri colleghi in tempi non sospetti sul caso Schiavo, era proprio questa la considerazione che prevaleva: un ordinamento giusto non può non dar valore a chi vuole conservare più di quanto non lo dia a chi vuole distruggere mentre l’ingiusto ordinamento americano aveva anteposto la volontà di morte del marito alla volontà di vita dei genitori.
Si sarebbe forse potuto motivare la scelta sulla base di poteri di emergenza. E’ plausibile infatti che il Presidente abbia preso questa decisione nell’intento di salvare elementi fondamentali del nostro sistema costituzionale: il principio della separazione dei poteri, la forza del giudicato, il corretto rapporto tra magistratura e potere politico, i diritti soggettivi. Ma vi è allora da chiedersi come si può far fronte da un’emergenza senza tener conto di tutte le ragioni, anche di quelle che avrebbero suggerito di soprassedere. Tra queste, la considerazione che il Governo non era mossa dall’urgenza di salvare sé stesso o propri interessi materiali. E ancora, la natura dei poteri presidenziali: il Presidente rappresenta la nazione e il Presidente sa che una parte consistente dell’opinione pubblica è fortemente avversa alla scelta compiuta dai giudici.
L’emergenza è provvista di una incontrovertibile evidenza, assente in questo caso vista la natura ampiamente controversa della questione. Nella logica del male minore (e del già ricordato principio di precauzione) la moratoria (ribadisco: una moratoria e non una decisione sostitutiva della volontà del Parlamento) non avrebbe compromesso la decisione definitiva mentre il niet è una decisione sostanziale, di merito, il che è contro ogni prudenza e rischia di impedire che sia la legge a risolvere il conflitto e a bilanciare gli interessi nelle sedi proprie di un Paese democratico.
Che risposte sono state date a questi dubbi, posto che essi si siano affacciati alla coscienza del Presidente? Nulla se non un diniego debolmente motivato, annunciato prima del tempo e fuori tempo, ampiamente criticabile, espressione della volontà di risolvere con un atto unilaterale una controversia di amplissima portata. Se di emergenza di fosse trattato, o di crisi della legalità costituzionale, il pieno appoggio dell’opinione pubblica avrebbe attestato la bontà delle scelte presidenziali; un ampio consenso di giuristi, opinionisti e gente comune avrebbe confermato che vi era effettivamente in atto una crisi cui lui e solo lui avrebbe potuto porre rimedio. Niente di tutto questo. Il Presidente ha sposato le tesi di una parte del Paese agendo così in contrasto con gli spiccati tratti di neutralità che caratterizzano la sua altissima funzione.