“Guarda, che si passano i bigliettini col numero di telefono…, l’altro giorno Luisa mi ha detto: posso portare una mia amica?”. La fragilità psicologica dei ragazzi ormai ha superato l’attenzione degli specialisti e dei freddi numeri ed è divenuta una percezione di tutti.

Il Covid, il lockdown, la Dad, le limitazioni o la chiusura delle attività sportive, degli oratori eccetera hanno fatto emergere un fenomeno e un trend già presente e ben rilevato da educatori, insegnanti, psicologi e servizi di salute mentale. Da anni psichiatri e psicologi si stanno interrogando su come intervenire, come aggiornare le organizzazioni e le pratiche di lavoro, a quali conoscenze attingere per arrivare prima, per intercettare e incidere agli esordi e prevenire conseguenze ben peggiori.



Ora è chiaro che per far questo i problemi sono enormi e il dibattito è infinito, ma ci sono ingredienti e aspetti che devono far riflettere gli addetti ai lavori e non solo.

In un articolo (“Natale per topi o capitani”, Corriere della Sera del 20 dicembre 2021) Alessandro D’Avenia mette in evidenza come talvolta la “vita viene radicalmente «cambiata» dall’affetto gratuito”… Affetto: essere impressionato, toccato, interessato e incuriosito. Aldilà (o insieme) agli strumenti e alle necessarie specifiche “tecnicalità” per gestire la relazione coi ragazzi, incontrare una persona “che si affeziona” può letteralmente fare la differenza.



La frase che ho riportato all’inizio, è presa da un dialogo con una psichiatra e una psicologa impegnate in un servizio di salute mentale che si occupa di ragazzi. Diciamo di operatori che sono quotidianamente “sul fronte”. Che lavorano con ragazzi che fanno uso di sostanze, o con disturbi di personalità, gravi disregolazioni emotive, problemi alimentari, autolesionismo e tentati suicidi e così via. Eppure, quasi scherzandoci su, ci dicevamo: “Questi si attaccano, non mancano una seduta, ti chiamano spessissimo” eccetera. Quando si sentono presi da un “affetto gratuito”, non giudicante, curioso, che interroga e suggerisce senza svalorizzare, ebbene nella relazione ci stanno (magari dopo aver fallito mille altre volte in altri contesti) e inizia un cambiamento.



Un’amica coordina un doposcuola gratuito, gestito da volontari, che raccoglie i ragazzini “difficili” della città: gli invii sono dalla scuola, dai servizi sociali e, sempre più spesso, col “passaparola”. Sono ragazzi in cui problematiche sociali si uniscono a disturbi del comportamento e dell’apprendimento in contesti familiari molto critici. Li inviano perché in classe disturbano e non combinano nulla, oppure si rinserrano in casa… I volontari se ne occupano aiutandoli nei compiti in un rapporto uno a uno. E i ragazzi, anche qui, si attaccano e iniziano a cambiare, cominciano a lavorare e a “tenere” anche in classe.

Può essere sconfortante leggere le cronache di violenza, di stupro, di bullismo tra i ragazzi. Gli adulti provano un senso di sperdutezza, talvolta di paura. Non si capiscono più certi atteggiamenti e comportamenti e non si sa come affrontarli. Non ci sono soluzioni facili e molte storie non sono a lieto fine. Ma partire da un “affetto gratuito” è un buon inizio e, soprattutto, rimette in moto la speranza e il senso di fiducia nei ragazzi e in chi se ne occupa.

Nessuna organizzazione o tecnica (medica, psicologica, pedagogica) può di per sé “garantire” nulla, ma occorre creare dei contesti che rendano possibile lavorare così. E’ quello che sta accadendo in molti servizi di salute mentale con i progetti dedicati agli esordi psicopatologici, cioè ai ragazzi che a iniziano a manifestare malessere psicologico, comportamenti aberranti, difficoltà di integrazione. Ambienti flessibili, deburocratizzati, a facile accesso, con medici, psicologi, educatori motivati, rigorosamente formati e culturalmente orientati a lavorare coi ragazzi; e soprattutto operatori capaci di muoversi in rete, riconoscere, contattare, integrarsi e valorizzare le risorse presenti nei territori: scuola, oratori, associazioni sportive, cooperative sociale, servizi sociali e sanitari. E che sappiano guardare i ragazzi come “capitani” e non come problemi, come portatori di valore da far emergere non come soggetti da rettificare…: il risultato è che si passano il numero tra loro.

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