L’alluvione, il disastro di una città come Derna in parte inghiottita dal mare, ma anche i soccorsi internazionali, gli aiuti in arrivo da molti Paesi. La Libia, la Cirenaica in particolare, al di là delle divisioni e della faticosa ricerca di una unità nazionale, sta affrontando un momento ancora più difficile alla luce delle conseguenze del ciclone Daniel. E non lo sta facendo da sola. La solidarietà delle altre nazioni, tuttavia, è anche interessata, perché molti hanno messo gli occhi sul Paese e vogliono continuare a coltivare i propri affari allargando la loro zona di influenza.
Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’università di Padova spiega le mire di Turchia, Russia, Paesi del Golfo, Egitto, tra i primi a prestare i soccorsi, ma anche attori fondamentali dal punto di vista economico sulla scena libica. Un ruolo potrebbe averlo anche l’Italia, che ha tenuto i rapporti con Dbeibah e Haftar, i due leader che controllano il Paese in questo momento, e che potrebbe contribuire alla ricostruzione.
Una situazione, quella libica, che resta molto delicata e in cui è difficile trovare gli equilibri, non solo geopolitici. Ieri sera a Derna i manifestanti hanno incendiato la casa del sindaco Abdulmenam al-Ghaithi, in carica fino a una settimana fa e poi sospeso: chiedono che vengano individuate le responsabilità del disastro che ha messo in ginocchio la città.
La Turchia è stato il primo Paese a mandare soccorsi dopo l’alluvione causata dal ciclone Daniel e dalla rottura di due dighe. Ankara sfrutterà l’occasione per consolidare la sua presenza anche in Cirenaica?
Già da più di un anno i turchi cercavano di consolidare la loro presenza in Cirenaica e per questo sono stati i primi a mandare gli aiuti. Il primo motivo per cui lo hanno fatto è proprio perché vogliono allargare la propria influenza, anche economica, in quest’area del Paese. Sappiamo che la Turchia è ben piazzata nell’Ovest libico, dove da anni sostiene il premier Dbeibah, con cui ha firmato diversi accordi commerciali, ma anche nell’ambito delle costruzioni e non solo. Sicuramente vorrebbe cercare quantomeno di replicare tutto questo in Cirenaica o comunque allargare gli affari nell’Est. E questo, nella disgrazia, è un buon momento per farlo. Inoltre la Turchia aspira da sempre, lo abbiamo visto anche nella guerra in Ucraina, al ruolo di paciere e forse vorrebbe farlo anche mediando tra Dbeibah e Haftar in vista di un percorso elettorale.
Anche i russi hanno mandato subito aiuti, realizzando un ospedale da campo. La richiesta di un porto per le loro navi (Bengasi o Tobruk) avrà un motivo in più per essere assecondata da Haftar? È cambiata la loro presenza con la Wagner dopo la morte di Prigozhin?
Sappiamo da anni che tra le motivazioni che hanno spinto i russi a sostenere Haftar c’è quella di ottenere uno sbocco sul mare. Sicuramente questo invio di aiuti, al di là della partita della ricostruzione, potrebbe essere finalizzato anche a questo: avere un porto a Bengasi, Tobruk o in altre zone costiere dell’Est. Quello che stupisce e va sottolineato è come nonostante la storica divisione fra la Tripolitania alleata della Turchia e la Cirenaica alleata della Russia entrambe le parti, russi e turchi, si siano trovate a giocare sullo stesso campo dal punto di vista degli aiuti. E questo vale anche in riferimento ad altre questioni che vedono turchi e russi dialogare, come, appunto, la guerra in Ucraina. La presenza di Mosca nell’Est libico come nel Mali e nel Burkina Faso non credo cambierà dopo la morte di Prigozhin: la Russia ha notevoli interessi per le materie prime nell’area. Putin vede nell’Africa un territorio fondamentale per i suoi affari.
Tra i Paesi venuti in soccorso della Libia ci sono anche Egitto ed Emirati Arabi Uniti. I primi avrebbero già pensato anche a una possibile ricostruzione delle dighe distrutte. Proprio nella ricostruzione si giocherà una nuova partita per ridisegnare le influenze dei Paesi stranieri sul territorio?
Cinicamente potremmo dire che i disastri naturali nel Nord Africa e nel Medio Oriente si stanno rivelando un’opportunità unica per chi vuole investire nella ricostruzione: parlo dell’Egitto ma soprattutto dei Paesi del Golfo. È una sorta di nuova diplomazia, la diplomazia della ricostruzione, che si basa sull’intenzione di investire in grandi infrastrutture in maniera diversa: i petrodollari questa volta, infatti, servono a investire in alleanze e non semplicemente a comprare i leader, come si faceva un tempo. È un approccio più pragmatico. Lo si evince dalle parole di Mohammed Bin Salman all’insediamento nei Brics: “Credo che nel giro di cinque anni il Medio Oriente sarà la prossima Europa e l’Arabia Saudita sarà un Paese completamente diverso”. Credo che dietro questa strategia di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar non ci sia solo un business ma il sogno di una nuova Europa in Medio Oriente. Al di là di questo, egiziani ed emiratini mandano aiuti ad Haftar perché hanno interesse che rimanga al potere.
L’alluvione sta unendo il Paese o finirà per fornire ad Haftar più potere sul territorio e quindi gli darà più peso anche nei confronti di Dbeibah?
Secondo molti analisti questa catastrofe potrebbe addirittura riunire il Paese. A mio avviso non sarà così. Vero che Dbeibah ha inviato aiuti alle popolazioni colpite. Ma potrebbero finire nelle mani sbagliate ed essere gestiti dalle milizie. Uno dei motivi per cui siamo arrivati a questo punto, con le dighe distrutte, è perché il Paese è da più di 11 anni in guerra, gestito prevalentemente dalle milizie, che avevano la priorità di combattere e non di controllare le infrastrutture o chiedere aiuto per farlo. La stessa cosa è successa per i leader libici. La partita degli aiuti può acuire le frizioni fra Est e Ovest e sobillare ancora di più le milizie.
L’Italia negli ultimi tempi è sembrata più interessata al dossier Tunisia. Però ha mandato aiuti e un team della Protezione civile. Cosa è rimasto del lavoro diplomatico dei mesi scorsi con Dbeibah e Haftar e come potrà svilupparsi la presenza italiana nel dopo alluvione?
L’Italia ha mantenuto nell’ultimo anno un dialogo costante e per certi versi proficuo con i due leader libici. Haftar è venuto anche a Roma. Siamo riusciti a limitare le partenze dei migranti dalla Cirenaica. L’Italia ha parlato con Dbeibah, con cui ha stipulato anche accordi economici. Un lavoro che potrebbe essere ancora più apprezzato se Roma manderà, come sta facendo, aiuti, e se sarà in prima linea, per quanto possibile, nella partita della ricostruzione. Ci sono attori molto più ricchi e più forti, come gli Emirati, e in generale i Paesi del Golfo, che perseguono una chiara strategia di penetrazione nel Nordafrica, ma l’Italia con il suo know-how, con la sua esperienza in Libia nel settore delle costruzioni e dell’oil & gas sicuramente ha un valore aggiunto, che deriva anche dalla capacità di dialogo con tutti gli attori libici.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI