La parte della relazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla Camera dei deputati sugli interventi per l’economia è stata prioritariamente dedicata alla difesa orgogliosa dell’operato dell’Esecutivo nella mobilitazione delle risorse destinate alla salvaguardia del sistema produttivo e al sostegno al reddito delle persone nel corso della pandemia e per offrire un contributo decisivo al cambio di paradigma delle politiche economiche delle Istituzioni europee.



Difficile negare come la scelta europeista operata dall’attuale Governo giallo-rosso sin dalla sua origine, concretizzata nel sostegno offerto all’elezione della Presidente von der Leyen anche da parte dei parlamentari europei del M5S, abbia contribuito in modo significativo a generare una condizione favorevole per le scelte operate dalle Istituzioni europee, che hanno consentito all’Italia di gestire in modo finanziariamente sostenibile le conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria. L’entità della mobilitazione delle risorse per salvaguardare il sistema produttivo, già oltre 100 miliardi di euro, per quanto criticabile sotto molti aspetti, rappresenta comunque uno sforzo senza precedenti nella storia del secondo dopoguerra in Italia. 



Assai meno convincente è la rivendicazione, più volte ribadita nel corso dell’intervento di Conte, di aver aperto la strada per riformare alcuni tratti salienti del nostro sistema economico-sociale. La lunga elencazione dei provvedimenti adottati per attivare nuovi incentivi per la produzione e per l’occupazione, le semplificazioni delle procedure pubbliche per gli appalti e le forniture e le misure rivolte a riconvertire l’economia nella direzione della digitalizzazione e della riconversione ambientale, allo stato attuale non giustificano le affermazioni del presidente del Consiglio. Interventi di questo tipo, anche di notevole valore economico come gli oltre 30 miliardi destinati agli incentivi per le nuove assunzioni negli ultimi 5 anni, hanno caratterizzato decreti e Leggi di bilancio senza incidere in profondità sulle caratteristiche del nostro mercato del lavoro. La nostra storia è densa di fallimenti delle politiche basate sulle erogazioni di sussidi pubblici, con il sovraccarico del ruolo gestionale dello Stato e dell’invadenza delle burocrazie, ampliati oltre il buon senso con gli interventi promossi dagli attuali Governo e Parlamento. 



Un Esecutivo che si propone di rimanere in carica per il resto della legislatura, e di assumere nei prossimi mesi impegni in ambito europeo per conto di tutte le istituzioni della Repubblica, oltre limite temporale di un nuovo teorico mandato, dovrebbe rispondere ad alcuni quesiti che nella relazione del presidente del Consiglio non vengono nemmeno contemplati. Il primo quesito è da mettere in relazione all’aggiornamento delle previsioni economiche, ultime quelle comunicate dalla Banca d’Italia, che allungano da due a tre anni i tempi del recupero delle perdite del Pil subite nel corso del 2020. Con la conseguenza di dover scontare un’ulteriore riduzione del reddito e dell’occupazione attuale, e un aumento dell’indebitamento pubblico originariamente previsto. Come si pensa di affrontare questa evidenza, con il prosieguo delle politiche di distribuzione dei sussidi?

Le prospettive di una ripresa dell’economia e dell’occupazione dipendono solo in minima parte dalla tenuta degli assetti produttivi esistenti, ma soprattutto dalla capacità di sostenere la crescita della produttività, la generazione di nuove imprese innovative e un adeguamento diffuso delle competenze dei lavoratori. Il prosieguo annunciato del blocco dei licenziamenti e dei sussidi a oltranza per mantenere in essere strutture obsolete è compatibile con questa necessità?

Per accelerare la ripresa dell’economia diventa necessario combinare il rapido impiego delle risorse pubbliche e di farle diventare un volano per la mobilitazione di quelle private. Sul primo versante sarebbe doveroso integrare l’elenco degli obiettivi, e dei desideri, contenuti nel recente Recovery plan approvato dal consiglio dei ministri, con le procedure di attuazione, di gestione e di monitoraggio delle risorse come richiesto dal Regolamento europeo, coinvolgendo anche le competenze che non appartengono allo Stato. E mettendo in essere le riforme dei procedimenti giudiziari, del fisco e del lavoro, che dovrebbero offrire un quadro favorevole agli investimenti privati, contenute nelle raccomandazioni rivolte all’Italia da parte della Commissione europea come condizione preliminare per l’erogazione delle risorse destinate al nostro Paese. Nell’intervento del Presidente Conte vengono indicate come prioritarie la riforma del fisco in favore dei redditi medio bassi (quelli che in buona parte appartengono al 40% che non versano nemmeno un euro al fisco) e degli ammortizzatori sociali. Sono queste le riforme ipotizzate per sostenere la ripresa dell’economia?

Allo stato dei fatti, la sopravvivenza di un Esecutivo indebolito nei numeri parlamentari potrebbe avvenire solo a discapito della governabilità dei provvedimenti da assumere. Aggravata dall’impossibilità di offrire una governance credibile nella gestione delle risorse, dato che buona parte delle competenze appartiene alle regioni governate in maggioranza dalla coalizione di opposizione. 

Nessuno si vuole assumere la responsabilità di parlare chiaro agli italiani. Di fronte a noi non c’è la prospettiva di un Bengodi rappresentato dai finanziamenti europei e dalla crescita illimitata del debito pubblico, ma almeno due anni di transizione dolorosa e che richiederanno una gestione oculata delle risorse.