CHE COSA DICE BENEDETTO XVI NEL DISCORSO DI RATISBONA DEL 2006
Era il 12 settembre 2006 e nell’Aula Magna dell’Università di Ratisbona (Regenbsurg) Papa Benedetto XVI teneva un discorso che sconvolse il mondo forse – anzi, sicuramente – al di là delle effettive intenzioni del compianto Papa Emerito Joseph Ratzinger (i funerali e l’iter, cosa succede ora). Quello che passò alla storia infatti come il “Discorso di Ratisbona” (qui il testo integrale, ndr) ancora oggi viene ritenuto, a torto, un “attacco” alla religione dell’Islam e alle sue autorità: una sorta di rivendicazione della “superiorità cattolica” sui fratelli musulmani in forza di una fede “migliore” è quanto emerse dalla rilettura ideologica che si fece su quella splendida pagina di fede e ragione che Benedetto XVI donò alla storia (non solo della Chiesa ma dell’intera cultura mondiale).
Le parole usate dal Santo Padre sarebbero invece da rileggere a fondo per scoprire tutta la ricchezza e profondità di un pensiero profondamente “incarnato” nella testimonianza reale di vita in “imitazione di Cristo”. Le polemiche e le attenzioni si concentrarono sul passaggio finale del Discorso di Ratisbona dove Papa Ratzinger, dove cita il dotto discorso di un imperatore bizantino medioevale – Manuele II Paleologo (1350 ca.-1425) – fatto davanti ad un esimio studioso e dotto musulmano. Il tema dirimente è il rapporto tra Cristianesimo e Islam sulle verità di ambedue: «Il dialogo si estende su tutto l’ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull’immagine di Dio e dell’uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre “Leggi” o tre “ordini di vita”: Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano. Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell’intero dialogo – che, nel contesto del tema “fede e ragione”, mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema», spiegava Benedetto XVI nel suo Discorso di Ratisbona ben 16 anni fa. «“Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio”, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università»: su questo punto si concentrarono le grandi traversie di questo discorso del Pontefice tedesco. Si ritenne infatti che Ratzinger volesse confermare la “superiorità” della fede cristiana mettendo all’allarme l’Europa contro i pericoli del jihad islamico (ricordiamo come solo 5 anni prima le Torri Gemelle vennero distrutte dall’attentato islamista più sanguinario della storia contemporanea).
DISCORSO DI RATISBONA, PERCHÈ È FONDAMENTALE PER CAPIRE FEDE E RAGIONE IN PAPA RATZINGER
Ebbene, l’obiettivo primario di Benedetto XVI nel Discorso di Ratisbona non era affatto mettere in “guardia” l’Occidente dal pericolo di una religione fondamentalista. L’elemento centrale è quello di far prendere coscienza a tutti di un rischio se possibile ancora più grande: quello di smarrire la stretta relazione che la ragione intrattiene con la sua storia e in particolare con la sua storia di fede, che è in sostanza la storia cristiana. Dunque non tanto una mera critica alla religione fondata da Maometto, ma un forte richiamo all’estrema necessità di recuperare le vere radici della libertà cristiana impregnata del rapporto costitutivo tra fede e ragione, tra religiosità e intelligenza. Già alla fine dell’anno 2006, nell’incontro per gli auguri natalizi con la Curia romana, papa Benedetto XVI aveva spiegato come a Ratisbona «il dialogo tra le religioni venne toccato solo marginalmente e sotto un duplice punto di vista. La ragione secolarizzata non è in grado di entrare in un vero dialogo con le religioni. Se resta chiusa di fronte alla questione di Dio, questo finirà per condurre allo scontro delle culture».
L’incredibile profondità del pensiero di Ratzinger la si scorge ancora una volta quando sempre nel Discorso di Ratisbona del 2006 afferma: «Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio. Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all’affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto».
Ed è da questa convinzione di voler risvegliare prima ancora dello “scontro tra religioni” il rapporto complesso tra il laicismo-secolarizzato della cultura occidentale, che Benedetto XVI ha gioco “facile” nel sottolineare nel suo discorso rimasto scolpito nella storia: «L’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente».
Solo recuperando il rapporto costitutivo tra domanda e testimonianza, tra ragione e fede, che può “attecchire” l’autentica libertà religiosa rivendicata da Papa Benedetto XVI davanti all’evoluzione delle società contemporanee: rileggere oggi quel Discorso di Ratisbona fa impressione rilevare quanto “profetico” fosse quel grido di allarme lanciato dal Pontefice per gli anni a venire.