DISNEY SI SCAGLIA CONTRO LEGGE ANTI-LGBT, MA NON BASTA…

Dal MeToo all’era dell’inclusione, il problema oggi non è solo il “Rainbow washing” di molte aziende occidentali ma il fatto che ognuno vuole essere più “inclusivo” degli altri, con il risultato che c’è sempre qualcuno più “giusto” degli altri.



Il “papocchio” iniziale per iniziare a inquadrare il caso “mediatico” della settimana in Florida con Disney e Pixar pieni protagonisti: la celeberrima compagnia di animazione, oggi padrona di marchi come Marvel, Star Wars e per l’appunto anche Pixar, ha preso netta posizione contro la controversa (e molto dibattuta negli ultimi mesi) legge “Parental Rights in Education” della Florida, già ribattezzata dagli oppositori come “Don’t Say Gay or Trans Bill”. Si tratta di una legge tende a limitare agli insegnanti ed educatori di parlare nelle scuole delle questioni legate al mondo LGBTQ+, oltre ad evitare l’educazione sessuale e l’orientamento di genere dall’asilo fino alla terza elementare. Qui però non ci addentriamo nel discutere il contenuto controverso della legge, ma ci “limitiamo” ad osservare la reazione nevrotica del mondo liberal oltre Oceano: il CEO di Disney Bob Chapek nell’ultima riunione con gli azionisti si è scagliato con forza contro la legge della Florida, dicendo che «le parole non bastano, e anzi possono avere un effetto controproducente, mentre l’impatto più forte che gli studi possono avere per creare un mondo più inclusivo è attraverso i contenuti che produciamo». Benissimo, si pensa allora che la questione sia finita e invece si è solo all’inizio.



PIXAR VS DISNEY: “MOSSI TROPPO TARDI”

Dagli azionisti ai dipendenti “cugini” della Pixar, che fanno capo a Disney, oltre a diverse associazioni umanitarie e pro-LGBT si sono scagliati contro le parole di Chapek giudicandole come “vuote” e “inutili” dopo anni di silenzio “colpevole sul tema”. «Noi alla Pixar abbiamo visto con i nostri occhi bellissime storie, piene di personaggi diversi, tornati indietro in briciole rispetto a quel che erano dopo esser passati attraverso le revisioni dell’azienda», si legge nella lettera inviata a “Variett” e “Hollywood Reporter” di un gruppo di dipendenti LGBT della Pixar. «Se creare contenuti Lgbtq poteva essere una risposta concreta a una legge discriminatoria, ci è stato impedito di darla», contestano ancora i dipendenti che fanno comunque capo alla Walt Disney Company. Non bastano dunque le “aperture” negli ultimi film Disney-Pixar alla tematica (si pensi al personaggio dichiaratamente lesbica di una poliziotta in “Onward” o anche alla particolare amicizia molto stretta tra i due protagonisti di “Luca”), non bastano neanche le parole di condanna del capo Disney alla legge “anti-LGBT”: no, è tutto troppo tardi e dunque per questo la Disney viene colpevolizzata. Chapek ha detto che la compagnia si è unita ad altre 150 nel formulare un comunicato contrario alla legislazione anti-LGBTQ+, organizzato da Human Rights Campaign e Freedom for All Americans: neanche questo è bastato all’opinione unanime pubblica che ha già condannato la Disney come “omofoba” e “ipocrita”. Addirittura Human Rights Campaign ha dichiarato che non accetterà la donazione annunciata da Chapek «se Disney non si impegnerà più seriamente sulla questione LGBT». Gli autori gay della Pixar hanno poi calcato ulteriormente la mano dicendo «Anche se creare contenuti LGBTQIA+ fosse il modo giusto per riparare le leggi discriminatorie nel mondo, ci stanno impedendo di crearli». Viene da chiedersi se il dibattito così impostato sia libero e “franco” o se forse il concetto di “libertà” e confronto non si stia via via perdendo anche nella “liberalissima” America…

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