Mamma e papà di Qui, Quo, Qua cercasi disperatamente. C’è chi li dà per morti, chi in fuga dalle proprie responsabilità genitoriali, chi nelle vesti di pazienti in ospedale, dove vivrebbero in perenne equilibrio tra la vita e la morte. Circa le origini dei tre gemelli più famosi di Paperopoli e dell’intera storia dei cartoon si è ipotizzato e scritto molto, come si fa con tutti i personaggi in carne e ossa che hanno lasciato tracce indelebili e misteriose nella storia dell’umanità.
Da quando, correva il bellicoso anno 1942, la Walt Disney annunciò in fumetto che zio Paperino aveva adottato i tre pestiferi nipoti, i fedeli lettori di Topolino convivono con questo dilemma che ora la casa di produzione statunitense potrebbe essere sul punto di svelare. Sulla scia delle trasformazioni progressiste che da almeno un decennio la tengono al passo con le pressioni politically correct del potente mondo trans-sessuale a stelle e strisce, la Disney potrebbe infatti porre fine alla delicata questione svelando una volta per tutte il mistero: Qui, Quo e Qua sono stati i primi esseri a venire al mondo grazie all’inseminazione artificiale da ovuli e spermatozoi congelati di paperi ignoti. Un esperimento medico-scientifico d’avanguardia per decenni rimasto avvolto nel segreto dei fumettisti per evidenti motivi di copyright. Fine delle illazioni e anche della presente introduzione ad un tema che, tenuto lontano dai principali mass media per colpa – l’ennesima – delle bombe russe, rischia di passare inosservato: la crescente presenza transgender nel mondo dell’infanzia.
Se della invasione di questa ideologia nei testi scolastici italiani, che qualche dibattito aveva suscitato negli ultimi anni, sembra essersi persa traccia (ma vedrete che è solo questione di tempo), non così per l’universo televisivo e cinematografico, ad iniziare dai cartoni animati. La pubblica denuncia firmata di recente dal senatore Simone Pillon (“Dal bacio gay al gay pride di Eurodisney è evidente il totale asservimento all’agenda Lgbt”), non nuovo a prese di posizione decise contro il colosso americano (ma anche la Rai, che due anni fa annunciò la diffusione di una serie tv Disney con protagonista bisessuale) ha il merito di sollevare la domanda: è lecito, doveroso, opportuno includere un bacio omosessuale in un film per bambini o celebrare il Gay pride a Disneyland (primo giugno prossimo)? Argomento complesso e delicato, ultima frontiera di una cultura dissacratoria che vede la lobby Lgbtq occupare spazi di comunicazione sempre più vasti nel tentativo di far passare l’idea di essere maggioranza, che deve risvegliare dal torpore consumistico chi ha responsabilità educative e in ispecie genitoriali.
L’idea che tutto sia uguale a tutto, che una scelta valga l’altra in qualsiasi campo, compreso quello sessuale e famigliare, è l’altra faccia della medaglia di chi trova più comodo astenersi da qualsiasi presa di posizione in nome di un fantomatico egualitarismo.
Da una parte, dunque, chi rinuncia a discutere, dall’altra chi vuol farlo a senso unico introducendo temi sensibili in nome – evidente la scelta Disney, colosso del cinema d’animazione con fatturati da capogiro – del profitto, unico dio rimasto in certi ambienti cui prostrarsi. Le teorie gender non possono dunque essere discusse a fronte di una presenza evidente nella nostra società?
Domanda sbagliata. Meglio chiedersi se la discussione debba invece avvenire in famiglia, a scuola, negli ambiti educativi invece che imposta dall’alto attraverso la subdola attrattiva di un cartone animato. Sarebbe interessante conoscere in proposito il pensiero di zio Paperino, cui i tre nipoti sono stati dati in affido e dei quali, dunque, egli è responsabile ai fini di legge e di coscienza. Ah, già, la coscienza: travolti dal conformismo dilagante, sappiamo ancora cos’è?
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