Occupati in lieve aumento rispetto al mese di marzo (+20 mila) e un forte incremento delle persone disoccupate che cercano attivamente un lavoro (+88 mila); numeri che, nell’insieme, hanno contribuito alla riduzione di quelle rimaste inattive (-138 mila).

I dati contenuti nel bollettino Istat sull’andamento dell’occupazione per il mese di aprile 2021 segnalano un mercato del lavoro italiano dove aumentano le aspettative per la ripresa dell’occupazione, anche se ancora condizionato dal permanere dei provvedimenti amministrativi che hanno limitato la ripresa delle attività in una parte importante dei comparti dei servizi, con effetti che ritroveremo anche nei consuntivi del mese di maggio.



Il saldo occupazionale è il risultato di una riduzione di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e dei lavoratori autonomi e una significativa crescita (+90 mila) dei rapporti di lavoro a termine che hanno riguardato in particolare le donne e i giovani under 35.

Il raffronto con il mese di aprile del 2020, che ha registrato il picco degli impatti negativi dei provvedimenti anti-Covid sul mercato del lavoro, è ancora più significativo. Con la ripresa graduale delle attività, in parte interrotta dai provvedimenti volti a contenere la seconda ondata dei contagi, si è verificato un travaso dal numero delle persone inattive (-932 mila) verso quelle in cerca di lavoro (+870 mila), e una progressiva stabilizzazione delle perdite occupazionali (-177 mila). Queste ultime integralmente dovute alla diminuzione dei lavoratori autonomi, la componente più colpita dagli effetti economici della crisiCcovid.



Con l’occasione l’Istat ha fornito un’interessante tabella che consente di rileggere i macro numeri delle tendenze del mercato del lavoro sulla base dei nuovi criteri di classificazione che escludono dal numero degli occupati le persone in cassa integrazione a zero ore da almeno tre mesi e i lavoratori autonomi che, per un analogo periodo, non hanno svolto alcuna attività. Alla luce di questa rilettura è possibile stimare le variazioni intervenute nel mercato del lavoro rispetto al mese precedente dall’inizio della crisi Covid (febbraio 2020): la perdita di 824 mila occupati, e il parallelo aumento di 854 mila disoccupati e di 415 mila persone inattive.



Una parte significativa di queste perdite coincide con lavoratori dipendenti ancora formalmente occupati nelle imprese, per l’effetto del blocco dei licenziamenti e del concomitante utilizzo delle casse integrazioni. Un confronto con le stime effettuate con i vecchi criteri utilizzati dall’Istat consente di valutare questo impatto, in particolare sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Rapporti che sono aumentati di oltre 200 mila unità secondo le vecchie stime, ma che registrano una riduzione di 222 mila in quella aggiornata rispetto al mese di aprile 2020.

Al di là di questi aspetti tecnici, che non facilitano di certo la comprensione per i non addetti ai lavori, i numeri dell’Istat mettono in evidenza che una parte significativa dei cosiddetti posti “salvati” (470 mila secondo l’analisi effettuata dalla Banca d’Italia) sono in realtà rapporti di lavoro che rimangono tali se sovvenzionati dallo Stato. Quanto sia ragionevole prolungare questo stato di cose nel tempo, con costi largamente superiori al ragionevole, e con l’effetto di scoraggiare in parallelo le nuove assunzioni, lo lascio valutare ai lettori.

Le aspettative di una ripresa economica, che aggiunga la componente dei comparti del turismo, della ristorazione e dell’intrattenimento collettivo, a quella già consolidata nei settori manifatturieri e delle costruzioni, è ampiamente alla portata di mano. Tra il mese di giugno e quello di ottobre dello scorso anno, le riaperture temporanee delle attività consentirono di recuperare quasi 300 mila posti di lavoro. Confidando sul successo della campagna delle vaccinazioni, è un risultato ancora alla portata di mano, anche se inevitabilmente condizionato dalla stagionalità e dai rapporti di lavoro a termine.

Non devono però essere trascurati due indicatori che evidenziano alcune storture del nostro mercato del lavoro. Il primo relazionato alla carenza di competenze adeguate nel mercato del lavoro rispetto ai requisiti richiesti dalle imprese. Sulla base delle recenti indagini Excelsior promosse dal ministero del Lavoro questo divario è persino aumentato nel corso dell’ultimo anno soprattutto per la crescente richiesta di competenze digitali. Il secondo, denunciato a suo tempo dalle associazioni imprenditoriali dell’agricoltura e recentemente da quelle del settore del turismo, è la difficoltà a trovare manodopera per i lavori stagionali. In buona parte per l’effetto di ” scoraggiamento” provocato dalla diffusione dei sussidi al reddito.

Il tema è controverso, e non mancano le reazioni di coloro che mettono in evidenza la propensione a sottopagare i lavoratori da parte di una quota significativa dei datori di lavoro. La contraddizione esiste, ma sarebbe facilmente smontabile offrendo contratti di lavoro regolari ai beneficiari dei sussidi al reddito. Un tema che dovrebbe essere preso di petto da parte delle autorità pubbliche e delle parti sociali.

Purtroppo, al di là delle parole di circostanza, che non possono mai mancare, sulla bontà delle politiche attive del lavoro, e sulla volontà di migliorare la qualità di quelle nostrane, tutte le energie mentali e finanziarie vengono dedicate di fatto ad ampliare l’entità dei sussidi al reddito, la platea dei sussidiati, e il numero delle persone da pensionare anticipatamente.

È una problematica che interroga la capacità di tradurre i buoni propositi in atti coerenti e gli stessi approcci valoriali che devono essere alla base di una promessa di cambiamento che non può prescindere dalla qualità umana e professionale delle risorse umane.

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