Dopo due mesi negativi, il numero degli occupati riprende a crescere (+46 mila) nel mese di settembre 2022. In parallelo rimane pressoché stabile (+8 mila) quello dei disoccupati e diminuisce il numero delle persone inattive (-86 mila). Il dato sorprendente contenuto nel comunicato pubblicato ieri dall’Istat segue di pochi giorni quello relativo all’andamento del Pil nel terzo trimestre (+0,5%), che ha riallineato verso l’alto le previsioni di crescita per l’anno in corso. Una performance migliore rispetto alla media dei Paesi Ue e che consente nel breve periodo di aumentare anche le risorse disponibili per finanziare il nuovo decreto aiuti per le imprese e per le famiglie che dovrebbe essere approvato dal nuovo Governo forse già oggi.



L’andamento degli occupati rispetto al trimestre precedente rimane negativo (-48 mila), soprattutto per la riduzione della componente dei dipendenti a termine (-29 mila). Quello annuale si mantiene positivo (+316 mila), anche se tendenzialmente decrescente rispetto ai raffronti registrati nei mesi precedenti.

La resilienza del nostro sistema economico, con conseguenze positive sui livelli di occupazione, viene interpretata dagli economisti come il riflesso degli effetti di trascinamento della ripresa dei comparti dei servizi, in particolare del turismo e della ristorazione, favorita dai livelli di risparmio delle famiglie accumulati nel corso della pandemia e dal prosieguo della buona stagione. Fattori che, di fronte alla crescita dell’inflazione in doppia cifra, superiore all’11%, e alle prospettive di un forte rincaro delle bollette nella stagione invernale, mantengono pressoché inalterata la prospettiva di una decrescita del Pil nel corso del primo semestre del 2023.



Una spiegazione aggiuntiva potrebbe essere fornita dalla capacità del sistema delle imprese di adattare le strategie di gestione delle organizzazioni del lavoro e del personale di fronte agli andamenti incerti del mercato, che è stata ulteriormente affinata nel corso della pandemia Covid con l’ausilio degli ammortizzatori sociali a disposizione, che ha ridotto la propensione a dismettere le risorse umane ritenute indispensabili per gestire le evoluzioni tecnologiche e organizzative. Un tema che merita di essere approfondito alla luce delle crescenti difficoltà di reperire i profili richiesti nel mercato del lavoro che si è assestata intorno al 40% dei fabbisogni dichiarati dalle imprese.



Una lettura attenta dei dati Istat, soprattutto di quelli tendenziali rispetto al mese settembre del 2021, evidenzia infatti una crescita degli occupati dipendenti permanenti (+205 mila), molto più rilevante di quelli a termine (+29 mila). Oltre a smentire le previsioni di una costante precarizzazione dei rapporti di lavoro, questo dato suggerisce di leggere la contrazione dei contratti a termine come l’indicatore di una prudenza da parte delle imprese nell’assimilare nuovo personale, ovvero della difficoltà crescente, rimarcata dalle associazioni imprenditoriali dei comparti del turismo, della ristorazione e dell’agricoltura, di trovare lavoratori stagionali.

Per comprendere la natura di queste criticità, che rivelano alcune delle principali contraddizioni del nostro mercato del lavoro, le serie storiche pubblicate dall’Istat nel bollettino che stiamo commentando rivelano una riduzione di 638 mila persone in età di lavoro rispetto al febbraio del 2020, mese che precede la pandemia Covid, che si riflettono anche nella contrazione di 450 mila persone in cerca di lavoro e di 260 mila inattive. Il miglioramento del tasso di impiego delle persone è dovuto in buona parte alle dinamiche della riduzione dell’offerta di lavoro per motivi demografici. Un dato positivo in apparenza, ma che implica conseguenze nefaste sul piano generale per la tenuta del sistema produttivo e per il finanziamento delle prestazioni sociali. Ma che, sul piano teorico, consente di accelerare i livelli di ricambio generazionale e di genere dato che il bacino dell’offerta di lavoro disponibile, circa 4,5 milioni di persone, è in gran parte caratterizzato dalla presenza dei giovani e delle donne.

Il riscontro immediato lo ritroviamo nella crescita di 280 mila occupati under 35 nel corso dell’ultimo anno, parallela a quello dei lavoratori over 50 (+160 mila) e alla riduzione di 122 mila tra i 35 e i 49 anni di età che segnala la gravità del mancato ricambio generazionale negli anni precedenti. Un’inversione di tendenza positiva ma che rimane al di sotto delle potenzialità dei fabbisogni del sistema produttivo e dell’esigenza di inserire al lavoro circa 4 milioni di giovani e donne, per via del deficit di aspettative e di competenze tra i profili richiesti dalle imprese e le disponibilità reali nel mercato del lavoro. Un gap che risulta paradossalmente più elevato per le imprese disponibili ad assumere persone giovani.

All’interno di questi numeri si annidano le principali criticità del mercato del lavoro e i fabbisogni di adeguamento delle politiche attive che continuano a essere tarate su obiettivi e comportamenti del tutto astratti rispetto alla realtà.

I propositi del nuovo Governo muovono nella direzione di stimolare una riconversione delle politiche attive nella direzione di un maggiore coinvolgimento delle imprese e del ruolo della domanda di lavoro nell’orientare gli incentivi e gli interventi formativi. Una prospettiva condivisibile, ma che non trova riscontro nell’attuale governance e nelle modalità di gestione delle risorse previste nel Pnrr per l’occupazione.

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