Il recupero dei posti di lavoro precedenti la crisi Covid ha registrato un significativo avanzamento nel mese di febbraio 2022. L’indagine mensile pubblicata ieri dall’Istat mette in evidenza un incremento di 81mila occupati, che ha riguardato in modo relativamente omogeneo uomini, donne, dipendenti e lavoratori autonomi, e una riduzione del numero dei dipendenti a tempo indeterminato (-109mila) compensata dall’aumento dei contratti a termine (+133mila). In parallelo è diminuito il numero delle persone in cerca di lavoro (-30 mila) e di quelle inattive (-79mila).



Rispetto al mese di febbraio del 2021 il recupero è stato sostanzioso – +777mila (+3,5%) – e risulta superiore alla media per le componenti delle donne e dei giovani under 35 anni. L’analisi delle serie storiche operata dall’Istat consente di aggiornare anche la lettura di quanto avvenuto nel corso dell’emergenza sanitaria. Rispetto al volume degli occupati del mese di febbraio 2020, precedente l‘avvio dei provvedimenti anti-Covid, mancano all’appello poco meno di 100mila posti di lavoro. Il completamento del recupero risulta ampiamente realizzato per la componente dei lavoratori dipendenti (+95mila) mentre rimane al di sotto del dato precedente (-184mila) per quella dei lavoratori autonomi nonostante il significativo recupero di 161mila posti di lavoro nell’ultimo anno. 



Nonostante la parziale riduzione del numero complessivo degli occupati, l’attuale tasso di occupazione (59,6%) risulta di poco superiore per via della contemporanea riduzione della popolazione in età di lavoro (-188mila). Una tendenza che si riflette anche sulla riduzione del numero delle persone che cercano lavoro (-304mila) e, in misura minore, di quelle inattive (-117mila). I contratti a termine hanno assunto un ruolo dominante sia nella fase di contrazione dei posti di lavoro nel corso del 2020 che in quella del recupero nell’anno successivo, per l’impatto generato dalle chiusure dei servizi rivolti alle persone e alla collettività, caratterizzate da una rilevante incidenza di lavoro stagionale, intermittente e occasionale. Nel corso dell’ultimo anno la forma dei contratti a termine ha rappresentato circa i due terzi dell’intero incremento dell’occupazione (+504 mila) e utilizzati in grande prevalenza per le assunzioni dei giovani under 35 (+450 mila) e delle donne (+375 mila). Complessivamente i volumi dei contratti a tempo indeterminato e a termine sono tornati sui livelli massimi precedenti la crisi Covid.



L’ipotesi di un completo recupero delle condizioni di normalità del mercato del lavoro, e dell’innesto di una fase espansiva dell’occupazione legata agli investimenti aggiuntivi del Pnrr, viene drammaticamente messa in discussione per le conseguenze della guerra in Ucraina e delle tensioni internazionali sull’economia reale. L’aumento delle incertezze economiche è destinato a influenzare negativamente le scelte delle imprese sul versante della propensione ad assumere in termini quantitativi e per le tipologie dei contratti da utilizzare. 

Nelle condizioni date risulta difficile stimare l’impatto di queste drammatiche novità sul mercato del lavoro. Il ridimensionamento delle stime della crescita economica viene dato per scontato, fino a dimezzare le originarie previsioni del 4,5% per l’anno in corso. Ma sullo sfondo rischio latente il rischio di precipitare nello scenario di un aumento dei prezzi combinato con la riduzione dei consumi (stagflazione) che comporterebbe pesanti conseguenze sulla produzione e sui posti di lavoro. In parallelo devono ancora essere ponderati gli effetti di medio e lungo periodo delle tensioni internazionali sulle forniture energetiche e sulla tenuta delle filiere produttive come forniture di componenti della produzione. 

Per il nostro apparato produttivo rappresentano delle variabili destinate a colpire i comparti di attività, in particolare le aziende manifatturiere ed esportatrici che hanno fatto da traino alla ripresa economica. Nel breve periodo si dovrà utilizzare ancora la leva degli ammortizzatori sociali per far fronte a problematiche di varia natura, a partire dalla sostenibilità dei costi dell’energia e delle forniture per una parte significativa degli asset produttivi.

Quanto sta avvenendo comporterà un aumento dei costi e dei tempi della transizione economica, immettendo nel sistema delle imprese un fabbisogno di innovazione e di recupero della produttività destinato ad accelerare le ristrutturazioni produttive e l’adeguamento dei profili professionali.

L’uscita dal lavoro delle generazioni del baby boom, poco meno di 3 milioni nel corso dei prossimi 5 anni, è destinata a privare il sistema produttivo di valori e competenze importanti. Come rigenerare una popolazione attiva professionalmente preparata, rimediando lo stato pietoso delle nostre politiche attive, è un tema che dovrebbe essere affrontato di petto mobilitando gli attori economici, sociali e le istituzioni formative. Mentre, allo stato attuale, rimane delegato al potenziamento dei Centri per l’impiego pubblici e alla frequentazione di qualche corso di formazione per giustificare l’erogazione dei sostegni al reddito.

L’impostazione delle nostre politiche economiche, sia per le implicazioni di carattere macroeconomico (la stabilità dei prezzi e dei costi degli indebitamenti pubblici e privati) e di politica industriale (la rapida ricostruzione delle filiere produttive integrate su scala globale) viene radicalmente messa in discussione. Tale da consigliare, quanto meno, di gestire in modo flessibile le risorse disponibili e il raggiungimento degli obiettivi. 

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