La “marcia su Mosca” di Prigozhin ha messo in evidenza l’instabilità del regime russo e la conflittualità nell’establishment che lo sostiene. Una situazione pericolosa che potrebbe sfociare in un nuovo “periodo dei torbidi”, come citato da Giulio Sapelli in un suo recente articolo sul Sussidiario. Questo periodo dolorosamente turbolento, dal 1598 al 1613, portò al trono la dinastia dei Romanov, che guidò l’impero russo fino alla rivoluzione del 1917.



Il “periodo dei torbidi”, in un articolo apparso su Foreign Affairs a firma Vladislav Zubok, professore alla London School of Economics, viene contrapposto al riproporsi della situazione del 1917 paventata in un discorso di Putin a proposito della marcia di Prigozhin; peraltro, anche costui cita quella rivoluzione. Una contrapposizione interessante, perché indica la connessione, ma non la coincidenza, tra la situazione del regime e quella personale di Vladimir Putin. Sia Sapelli che Zubok hanno oggettivamente ragione: ciò che si prospetta in Russia è un periodo di disordini estremamente pericoloso per tutto l’ordine mondiale, già molto in disordine. Un rischio che è stato avvertito perfino a Washington, come spiega Carlo Pelanda, sempre sul Sussidiario.



Tuttavia, il riferimento in senso negativo al 1917 fatto da Putin sembrerebbe allontanare possibili intendimenti di ripristinare quel regime; potrebbe, peraltro, indicare nostalgia per l’impero zarista, di cui Putin si prospetterebbe come zar. Rimane comunque espressa la volontà di riammettere la Russia nel novero delle potenze che contano, uscendo da quell’angolo in cui è stata confinata da avversari, Washington e i suoi alleati, e da cosiddetti amici, come la Cina. Insomma, lo slogan di Donald Trump: MAGA, “Make America Great Again”, con la Russia al posto dell’America.

La posizione descritta ha probabilmente l’adesione di una forte maggioranza della popolazione russa, ma rimane soggetta al pericolo eversivo dei nazionalisti estremisti, di cui il tentativo di Prigozhin è forse una prima manifestazione. Qui, a mio parere, si delinea la differenziazione della posizione personale di Putin, la cui forza deriva proprio dal caos che potrebbe determinarsi con la sua caduta. Anche sotto questo profilo il richiamo al 1917 ha senso.



Il 17 marzo 2024 sono previste le elezioni presidenziali in Russia. La guerra in Ucraina da “operazione speciale” si è trasformata in una guerra di posizione con perdite pesanti, soprattutto umane. Putin è sotto attacco da due lati: da chi, contrario alla guerra, ne vorrebbe una rapida conclusione, e da chi vorrebbe invece una guerra ancor più totale, come appunto gli estremisti nostalgici della Grande Russia. Come detto, però, questa sua debolezza può trasformarsi in forza nelle prossime elezioni, come scelta del male minore per evitare un più disastroso caos. Per evitare però un nuovo periodo dei torbidi, Putin deve trovare una via di uscita allo stallo in cui sta impantanandosi la guerra in Ucraina.

Il 5 novembre 2024 si terranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti e l’attuale presidente, Joe Biden, si ripresenterà, finora unico candidato del Partito democratico. In campo repubblicano vi sono invece diversi candidati, ma la decisione di Donald Trump di candidarsi rischia di radicalizzare la situazione, che, per la verità, lascia parecchi dubbi sullo stato di salute della democrazia Usa. Dopo i falliti tentativi di impeachment quando era presidente, ora Trump è accusato di possesso illegale di documenti riservati, cui si aggiungono cause private a sfondo sessuale. Anche a casa di Biden sono stati trovati documenti segreti, diciamo “fuori posto”, ma lui è il presidente e quindi si parla di trascuratezza, non di reato.

Un grave problema, sul piano personale ma anche politico, è dato dal figlio Hunter, sottoposto recentemente a processo per evasione fiscale e possesso illegittimo di armi, finito con un patteggiamento a due anni di libertà vigilata. Hunter Biden è anche accusato dai repubblicani di rapporti economico-finanziari con la Cina e ritornano alla luce sue operazioni non chiare con oligarchi ucraini. A suo tempo, nel 2016, Joe Biden fu accusato dagli oppositori di aver chiesto la rimozione di un giudice ucraino per evitare problemi al figlio.

A parte tutto questo, il problema è se Joe Biden, se non altro per la sua età, sia in grado di gestire gli Stati Uniti, non all’apice della loro potenza, in una situazione mondiale in rapido e convulso divenire, ben lontana dal “Secolo americano” e dalla “Pax americana” conclamati un tempo. Il vero problema, sia per i repubblicani che per i democratici, è non solo di vincere le elezioni, ma di portare alla Casa Bianca qualcuno realmente in grado di indirizzare e gestire questo nuovo ordine. Trump è un’opzione molto rischiosa, ma Biden non sembra all’altezza del compito, anche se per i democratici resta difficile una sua sostituzione in questo momento. Diventa quindi essenziale la scelta del candidato alla vicepresidenza, che sosterrebbe Biden e lo sostituirebbe in caso di bisogno. Non credo si tratterrà dell’attuale vicepresidente, Kamala Harris, praticamente sparita dai radar.

Biden ha già sulle spalle l’ingloriosa e per molti versi cinica ritirata dall’Afghanistan, arrivare alle elezioni con la guerra in Ucraina in una situazione di stallo non lo aiuterebbe. Ancor più per lui, forse, che per Putin sarebbe opportuno arrivare a una soluzione, quantomeno di cessate il fuoco. All’inizio di giugno dell’anno prossimo si terranno anche le elezioni per il Parlamento europeo, un’altra opportunità per far progredire un processo di pace, speranza forse ancor più labile, in questo caso.

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