Michele, Cristiano e Tommaso sono tre giovani studenti di università milanesi. Sono i promotori e curatori della mostra “Distruptive, la sfida di ricostruire”, ed entusiasti testimoni di un’avventura, incominciata due anni fa, alla scoperta della figura di Sergio Marchionne, ex amministratore delegato del gruppo Fiat (poi FCA).
In una chiacchierata fuori dalla mostra, nata dall’amicizia tra loro tre e dalla loro passione per questa figura, mi raccontano di come siano rimasti stupiti da questo uomo, chiamato nel 2004 a guidare la più grande, ma anche la più indebitata, azienda italiana, e a farla ripartire da una situazione di crisi profonda (l’azienda perdeva 5 milioni di euro al giorno e cambiava amministratore delegato ogni 6 mesi). La parola “distruptive”, che non ha una propria traduzione in italiano, incarna il metodo che Marchionne ha applicato alla Fiat, abbattere e distruggere quando c’è bisogno di abbattere e distruggere, ma avendo chiaro che il fine ultimo è ricostruire, ripartire, crescere.
Marchionne agì così quando entrò in Fiat, entrandovi da “straniero”, da esterno, e rivoluzionando il management, promuovendo chi si muoveva con desiderio e convinzione e cambiando la pesante mentalità dominante in Fiat in quegli anni per la quale nulla potesse essere modificato. La provocazione da cui parte l’esibizione è che la situazione della Fiat del 2004 possa essere in qualche modo equiparabile a quella italiana post-Covid.
La mostra si basa su 12 interviste, realizzate interamente dai giovani curatori, a 12 personalità (tra cui spiccano John Elkann e Mario Calabresi, ma anche i sindacalisti Bentivogli e Rinaldi) che ci aiutano a entrare nella figura di Marchionne e a rispondere alla grande provocazione che fa da fil rouge per la mostra: si può ricostruire? Come ricostruire? È interessante notare che queste interviste sono frutto del dialogo tra i ragazzi e gli “esperti” in un vortice in cui la voglia di conoscere dei ragazzi incontra il desiderio di raccontare, di riflettere, di educare di grandi giornalisti, manager, politici.
I curatori, in pieno stile Marchionne, hanno poi coinvolto diversi amici nella realizzazione della mostra e sono stati in grado di ovviare alle ristrettezze del budget a disposizione grazie al supporto dato da alcuni ricercatori universitari e giornalisti, che li hanno aiutati nei contatti con le persone intervistate, e da un gruppo di amici studenti di ingegneria e design, coordinati da Andrea Silvano, e dedicati alla progettazione e realizzazione del sito internet.
La mostra è ben lontana dall’essere una celebrazione acritica del personaggio, anzi, emergono anche delle provocazioni interessanti, non solo da parte dei sindacalisti intervistati, ma anche da uno degli ex top manager di Foat, che racconta di come per Marchionne bisognasse avere “dedizione assoluta” al lavoro e che secondo lui “non puoi aver tempo per una vita normale mentre si fa la storia”. È interessante approfondire questa sottile linea tra passione e ossessione per il lavoro, e lo è ancor di più per Michele e Cristiano, che da giovani studenti guardano al mondo del lavoro con un misto di fascino e timore, desiderosi da un lato di mettere le mani in pasta, di crescere, di fare, dall’altro coscienti che l’essenza dell’uomo non si basa solamente sul successo, sullo sforzo, sulla carriera.
“Il coraggio di dire Io”, ritorna anche qua: come ci dimostrano questi giovani è muovendosi, impegnandosi, ma anche aiutandosi a giudicare assieme e confrontandosi con persone più grandi, che si può andare a fondo del proprio Io e scoprire magari che si può vivere il proprio lavoro con passione sfrenata senza che questo diventi una ossessione che definisca interamente la nostra vita.
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