Non sono bastate le tragedie successe l’anno scorso nel Triveneto, in Calabria e in Sardegna affinché il problema del dissesto idrogeologico del nostro Paese fosse un tema presente nelle diverse campagne elettorali. La ricerca del colpevole, dell’errore nelle previsioni, del chi avrebbe potuto fare cosa per evitare l’ennesima perdita di vite umane serve a poco se non si considera che, oltre ai fenomeni meteorologici estremi sempre più imprevedibili a causa del riscaldamento globale, la questione della prevenzione è un problema culturale che abbraccia a 360 gradi tutti gli aspetti connessi alla vita delle persone e dei lavoratori.



Per fare un parallelismo, in Italia l’evoluzione culturale del tema della prevenzione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro affonda le sue origini a partire dagli anni ’50. Ci sono voluti trent’anni di mobilitazioni sociali e sindacali, di evoluzioni del diritto interno e poi comunitario, di dibattiti sviluppati dalle Organizzazioni internazionali, affinché si consolidasse la cultura della prevenzione e della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” a scapito della “monetizzazione del rischio”. E, nonostante tutto, i dati Inail ci ricordano che i diritti acquisiti vanno continuamente difesi.



Sulle tematiche ambientali, quindi, non partiamo dall’anno zero. Abbiamo modelli di evoluzione culturale da cui attingere che, con i dovuti accorgimenti e considerazioni attuali, possiamo mutuare e applicare. A partire dalla prevenzione e, nel caso specifico, dalla mitigazione del rischio. I rimedi per contrastare il dissesto esistono e sono strettamente legati alla volontà di salvaguardare il territorio, superando il conflitto tra cultura ambientalista e interventista, dato che molti lavori di risanamento vengono contestati per il loro impatto ambientale, mentre quelli che vengono finanziati scontano tempi lunghissimi tra progettazione, assegnazione dei lavori e collaudo.



Come sindacato abbiamo sempre e più volte posto l’attenzione sulla necessità di dare continuità operativa ai piani di tutela contro il dissesto idrogeologico – “Proteggi Italia” da ultimo, preceduto da “Italia Sicura” e “Sblocca Italia” – e sulla possibilità di cooperare per una grande delocalizzazione programmata di attività produttive ed edifici residenziali in territori più sicuri. Aiuterebbe ripristinare una Struttura di Missione sul dissesto idrogeologico presso la presidenza del Consiglio dei Ministri. I finanziamenti, e su questo punto possiamo tutti facilmente concordare, ci sono e sono consistenti.

Il 31 maggio dell’anno scorso il ministero della Transizione ecologica destinò oltre 10 milioni di euro per interventi finalizzati alla mitigazione del dissesto idrogeologico nella Regione Marche, fondi aggiuntivi a quelli già previsti dal Bilancio regionale per l’annualità 2021-22. Si tratta di fondi statali che vengono messi a disposizione periodicamente – solitamente una volta all’anno – e il Ministero chiese alla Regione Marche di trasmettere l’elenco degli interventi da proporre per il finanziamento, individuati all’interno del ReNDis (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) che fossero almeno nella fase della progettazione esecutiva o che arrivassero, in breve tempo, a questo stadio. La Regione inviò un elenco di 11 interventi, di cui 5 dotati di progettazione esecutiva e 6 con progettazione esecutiva entro il 2021 o nei primi mesi del 2022. Almeno il 20% delle risorse assegnate era destinato al finanziamento di “progetti integrati”, che riguardavano cioè il miglioramento della qualità delle acque e la sicurezza per le eventuali esondazioni.

La criticità è che, in base al rapporto Invitalia sul monitoraggio dello stato economico dei programmi in materia di difesa del suolo (ottobre 2020), la capacità di spesa complessiva – negli ultimi dieci anni – della Regione Marche si è attestata intorno al 36,7%. Se, invece, si prendono in considerazione le risorse nazionali, è stata stimata una media di spesa annua per il nostro territorio di circa e soli 350 milioni, utilizzati per lo più per far fronte a “stati di emergenza” che sono diventati un’emergenza ordinaria e purtroppo quotidiana.

Sarebbe utile avere un sistema unitario di banca dati di gestione dei fondi, ma anche superare le difficoltà delle amministrazioni nazionali e locali nello svolgere funzioni ordinarie che hanno portato, nel tempo, al ripetuto ricorso a gestioni commissariali ed emergenziali.

Il tema del dissesto idrogeologico costituisce un argomento di particolare rilevanza a causa degli impatti non solo sulla popolazione e sulle infrastrutture, ma soprattutto sul tessuto economico e produttivo. Non può esserci sviluppo e soprattutto sviluppo sostenibile su un territorio fragile. Transizione ecologica, digitale e sociale devono andare di pari passo con la messa in sicurezza del nostro Paese. Sarebbe irragionevole spendere le risorse del Pnrr per far rilanciare il Paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi – con circa i 2/3 delle frane censite in Europa – se prima non lo si cura.

Bene la sospensione della campagna elettorale, ma la questione ambientale – senza ideologismi – deve essere trasversalmente la priorità di tutti, a partire dal decisore politico, dal cittadino e dal lavoratore.

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