Oggi il distanziamento sociale rappresenta una delle condizioni indispensabili per far fronte all’emergenza che stiamo affrontando a causa del Coronavirus. Tuttavia, come osserva su The Conversation Fritz Breithaupt, docente di Scienze cognitive all’università dell’Indiana, l’isolamento sociale affonda le sue radici in tempi non sospetti. A suo dire, la storia umana è da intendersi come “un processo di crescente distacco sociale”. Nel corso della storia è emersa l’empatia che ha permesso di consentire la distanza fisica e di incoraggiare al tempo stesso i legami mentali. Volgendo lo sguardo al passato, i nostri antenati africani vivevano in gruppi di circa 150 persone. Come osserva lo psicologo evoluzionista Robin Dunbar, gli esseri umani vivono in gruppi più grandi dal momento che hanno sviluppato nuove forme di interazione sociale. E così si è passati dalla toeletta fisica che univa le scimmie al semplice pettegolezzo. Anche se la distanza fisica è ampliata, gli esseri umani sono rimasti tra loro vicini mentalmente attraverso lingua parlata. Con l’avvento di abitazioni al posto di un modo di vivere più nomade, si sono uniti i gruppi più piccoli ma separati tra loro da mura e grotte. Arrivando all’età moderna, le comunità sono diventate molto più piccole e la nuova regola è stata formata dalla famiglia composta da madre, padre e figlio portando ad ampliare le distanze sociali dal momento che tale struttura ha iniziato ad escludere altri parenti e membri della stessa famiglia. La privacy è quindi diventato un valore sacro.
DISTANZIAMENTO SOCIALE NELLA STORIA UMANA: COSA È CAMBIATO
Un ruolo particolarmente importante è stato giocato dall’empatia. Oggi anche se da solo puoi comunque sentirti connesso agli altri, anche se in luoghi lontani. Nel 1882 il microbiologo Robert Koch identificò nei batteri la causa della tubercolosi. La sua scoperta cambiò il modo in cui le persone si vedevano a vicenda iniziando a pensare al contatto con gli altri un rischio. Sin dal XX secolo si comprese che la strategia per far fronte a tale rischio era – ed è ancora oggi – l’autocontrollo: regole igieniche e autoisolamento. In quel momento il “sé” divenne dominante nella cultura occidentale ed anche la parola “empatia” concentrata più sul sé che sull’altro, fu coniata in questo momento, intesa come il sentirsi un’opera d’arte, secondo la teoria dell’arte tedesca. Con l’avvento degli anni 2000 i social hanno introdotto un nuovo modo di distanza sociale e empatia. Le nuove tecnologie hanno aumentato le distanze sociali pur soddisfacendo la necessità di connessione sociale in altri modi, come i retweet e i “like”. Cosa accade oggi, nel 2020? Le nuove regole di distanziamento abbinate a nuove forme di empatia che vanno dalla lettura di romanzi ai social media, potrebbero suggerire l’intenzione delle persone i superare l’attuale situazione. Eppure, sottolinea Breithaupt, adesso sta accadendo qualcosa di diverso. Se in passato gli esseri umani si sono adattati a varie forme di distanziamento, adesso si sono moltiplicati gli appelli a restare vicini. Gran parte delle persone brama la presenza di altri simili intesa in senso fisico. La conclusione è che le persone possono realmente adattarsi alla distanza sociale ma ogni tanto vorremmo comunque poterci strofinare schiena contro schiena e “riscoprire qualche forma di toelettatura”, ha concluso il docente.