Da una parte, c’è l’inflazione all’acquisto, ovvero la crescita dei prezzi dei prodotti agricoli e di quelli praticati dall’industria alimentare sulla scorta dei forti aumenti delle materie prime alimentari, energetiche e dei metalli dove si registrano aumenti a doppia e tripla cifra. Dall’altra, c’è la deflazione al consumo e cioè la contrazione dei prezzi medi dei prodotti venduti negli scaffali dei supermercati. La distribuzione italiana si vede stretta tra questi due opposti trend, che rischiano di sfociare nei prossimi mesi in una dinamica difficilmente sostenibile per un Paese come l’Italia, già messo a dura prova dalla pandemia.



E da qui, l’allarme lanciato dai vertici di Coop durante la presentazione del Rapporto 2021. “Con gli inizi di settembre – ha detto Marco Pedroni, presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) – si è avviata una nuova fase di negoziazione con l’industria di marca. E sono già state avanzate richieste di rialzo dei prezzi di listino, nell’ordine anche del 5-10%”.



Una guerra commerciale da evitare

La reazione non si è però fatta attendere: “Voglio dire con chiarezza – ha ribadito Maura Latini, amministratrice delegata di Coop Italia – che queste richieste non sempre sono giustificate e noi non accetteremo rialzi che non abbiano una rispondenza fattuale. Cercheremo infatti di combattere, per quanto ci è possibile, i fenomeni speculativi che sospettiamo muoversi dietro queste domande”.

Detto questo, il pericolo che si profila all’orizzonte, se lo scenario appena descritto non assumerà toni meno critici, resta piuttosto importante: “In presenza di una domanda interna che dovrebbe rimanere bassa – ha spiegato Pedroni -, il conto degli aumenti registrati a monte della filiera potrebbe essere presentato ai consumatori. E questo rischierebbe di minare l’effetto della complessiva ripresa economica di cui al momento è protagonista il nostro Paese. L’Italia infatti si è rivelata capace di incassare tassi di crescita superiori alle aspettative, tanto da fare prospettare nel 2021 un incremento del Pil vicino al 6%”.



Da qui, dunque, l’appello al Governo. “Deve chiamare le parti e affrontare la questione, per evitare una guerra di tipo commerciale che farebbe male a tutti” ha affermato Pedroni, che ha poi incalzato: “Come anche il Rapporto Coop mostra, c’è poi bisogno di dirottare risorse e politiche più incisive a favore dei consumi agendo, per esempio, sulla defiscalizzazione di prodotti sostenibili. E c’è bisogno di una legislazione di scopo per la riconversione dei centri commerciali. Stiamo parlando di superfici estese da riqualificare e da recuperare anche in funzioni diverse da quelle commerciali, per ruoli multifunzionali e di servizio – pubblico e privato – per la comunità. Il tutto considerando anche che interventi di questo tipo sono utili a frenare l’espansione edilizia e il consumo di suolo che in Italia continuano a crescere, a dispetto delle direttive dell’Unione europea”.

Il clima si siede a tavola

La tensione sul fronte commerciale non è tuttavia l’unica nuova nota di rilievo che segna il mercato alimentare. La pandemia ha infatti contribuito a determinare una forte discontinuità sul fronte delle abitudini di consumo. Le evidenze sottolineate dall’edizione 2021 del Rapporto Coop scattano una chiara fotografia del fenomeno: il cibo esce profondamente trasformato dal Covid e si colora di verde. I dati parlano chiaro: un italiano su due ha cambiato le proprie consuetudini, chi indulgendo nel conforto alimentare (il 23% degli intervistati ha preso peso – in media +5,8 kg), chi optando per una dieta più equilibrata e salutare (il 15% ha perso peso, in media -7,1 kg). Ma c’è di più. Dal Rapporto emerge una vera e propria novità: un italiano su sei si dice “climatariano”, dichiara cioè di adeguare il proprio regime alimentare alla riduzione dell’impatto ambientale. E il trend non si limita qui.

L’ambiente è infatti diventato un riferimento nelle scelte alimentari di molti italiani: l’88% associa al cibo il concetto di sostenibilità, che significa per il 33% avere un metodo di produzione rispettoso, per un altro 33% riservare attenzione agli imballaggi, per il 21% tenere in considerazione origine e filiera e per il 9% valutare la responsabilità etica. Solo teoria? Non proprio. Anche sul fronte pratico – rileva il Rapporto – la lista dei riscontri raccolti in tema di attenzione al green è nutrita: il 13% degli italiani sta infatti riducendo il consumo di carne (i cosiddetti reducetariani); si fa largo la preferenza per prodotti locali e di stagione; cresce il gradimento delle referenze veg, che piacciono anche a chi cerca una semplice alternativa proteica alla carne; raddoppiano le vendite di proposte vegane di nuova generazione, come bevande, besciamelle e piatti pronti.

E in questa stessa prospettiva si inserisce anche un’altra evidenza, sempre segnalata dal Rapporto: gli italiani riconoscono nel riscaldamento climatico il principale fattore di cambiamento del cibo del futuro, sia prevedendone una maggiore scarsità a causa del climate change (26%), sia immaginando che per salvare il clima occorrerà cambiare la nostra alimentazione (32%). Un aiuto, però, verrà dalla scienza e dalla tecnologia (la pensa così il 26% degli intervistati). Ne è conferma il fatto che tra le new entry destinate a popolare le nostre tavole da qui a 10 anni si contino cibi vegetali che assicurano sapore di carne, pietanze a base di alghe, farina di insetti e anche carne coltivata in vitro.

La food revolution – conclude il Rapporto – non è insomma una prospettiva futuribile, è già in corso. E lo testimonia anche il barometro dell’economia: nel solo 2020, infatti, gli investimenti in cibi e bevande di prossima generazione sono ammontati a 6,2 miliardi di euro.