E’ allarme disturbi dell’alimentazione: anoressia, bulimia e binge eating (“abbuffarsi di cibo”) colpiscono sempre più i giovanissimi, con l’età media scesa ormai a 12 anni. L’aumento, calcolato dalla Società italiana per lo studio dei Disturbi del comportamento alimentare, è pari al 30% dei nuovi casi con una crescita del 50% di richieste di prime visite per DCA – Disturbi del Comportamento Alimentare. Tutto questo nel periodo compreso negli ultimi 19 mesi, che non a caso coincide con la pandemia da Covid, lockdown incluso. E’ possibile che le due cose siano collegate fra loro?



Come ci ha detto in questa intervista Mario Polloprofessore associato confermato di Pedagogia generale e sociale nella facoltà di Scienze della formazione alla Lumsa di Roma, “questi disturbi colpiscono particolarmente nell’età di passaggio dalla fase pre-adolescenziale a quella adolescenziale, quando i ragazzi fanno fatica ad accettare la trasformazione del proprio corpo e quindi cercano, privandosi del cibo o mangiando in modo esagerato, di fermare o cambiare questa trasformazione”. Il collegamento con la pandemia invece scatta “se il ragazzo già viveva una relazione familiare poco significativa, al cui interno non si sentiva amato. Venendo a mancare i rapporti con i propri coetanei e con il mondo esterno in generale, ecco che i disturbi alimentari prendono il sopravvento, perché sono causa di un disturbo patologico più generale”.



L’anoressia, la bulimia e i disturbi alimentari in generale hanno sempre colpito gli adolescenti in modo particolare. Quali sono le cause di questa patologia?

Ogni caso è una storia a sé, ha sue caratteristiche specifiche. Un elemento comune può essere la non accettazione e il riconoscimento di sé delle persone che hanno difficoltà ad accettarsi, perché non hanno relazioni che siano significative, che li aiutano cioè ad accettare se stessi integralmente per come si è.

In che senso relazioni poco significative? Intende quelle con i genitori?

Se un ragazzo è un po’ grassottello e sta vivendo il passaggio dalla pre-adolescenza all’adolescenza, in cui si hanno molte difficoltà ad accettare il proprio corpo, perché non mostra più la grazia del corpo infantile ma non presenta ancora la struttura di quello adulto, si trova quindi in una fase intermedia, in questo momento critico, se non impara ad amarsi e ad amare il proprio corpo per come è, lì si può innescare il tentativo di bloccare la trasformazione per ritornare alle condizioni precedenti.



Come tutto questo può avere a che fare con la pandemia da Covid, tanto da aumentare il numero dei casi di adolescenti colpiti da questi disturbi?

Può accadere che entri in gioco la paura del futuro, la difficoltà a immaginare se stessi nel futuro. La pandemia, da un lato, rappresenta la crisi del futuro, tende a oscurarlo, a renderlo ancora più incerto di quanto sia percepito dagli adolescenti, a renderlo ancora più minaccioso.

Quindi scatta questa sorta di autopunizione?

La pandemia ha portato un altro elemento: il venir meno delle relazioni con i pari età o con il mondo esterno alla famiglia. Questo aspetto poteva compensare l’assenza di relazioni significative all’interno del nucleo familiare. Per cui, se nel nucleo familiare c’era una relazione di questo tipo, non è che con il lockdown si sia trasformata, anzi è addirittura peggiorata. Venendo a mancare il mondo esterno, che costituiva una sorta di compensazione, si crea un buco in cui il ragazzo sprofonda con le misure che ritiene possano, malamente, proteggerlo.

Cosa possono fare genitori ed educatori del mondo della scuola?

In primo luogo, deve intervenire uno specialista, sia a livello psicologico che nutrizionale. I famigliari possono intervenire manifestando nei confronti del ragazzo una forte empatia, facendolo sentire accettato e amato per come è. Ti voglio bene per come sei anche se vivi questa profonda crisi: questo è il messaggio che devono riuscire a comunicargli. Devono stargli accanto, non abbandonarlo, accompagnarlo in quel percorso. Tutto questo ha un valore molto forte, perché fa sì che diventi anche un elemento in grado di rafforzare gli stessi interventi terapeutici.

E’ un intervento complementare?

Sì, aiuta i ragazzi a scoprire che, uscendo da questa situazione, potranno vivere una esperienza relazionale sia in famiglia che a scuola di una qualità elevata dal punto di vista umano.

(Paolo Vites)

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