Il disturbo ossessivo compulsivo colpisce circa l’1% della popolazione. Si tratta di un problema che porta a comportamenti rituali e ripetuti, che vengono percepiti come “obbligatori” per stare bene. Le compulsioni portano a delle difficoltà importanti nella vita di chi ha tale problema: infatti, se non curato, può rendere davvero complicata la vita di che soffre nell’ambito socio-relazionale ma anche lavorativo. Le ossessioni sono varie: come analizza il Corriere della Sera, possiamo parlare di più “fissazioni” che possono andare dal “bisogno” di pulire in continuazione, fino alle malattie o alle paure irrazionali come quella di essere contaminato, che potrebbe portare al timore anche di uscire di casa.
Spesso le compulsioni sono delle azioni finalizzate ad ottenere un po’ di sollievo rispetto alle paure. La vita di chi ne soffre, però, è tutto che semplice. Ma c’è una cura a tutto ciò? I medicinali possono aiutare. Esistono infatti trattamenti specifici per questo tipo di disturbo. Ci sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri) che rappresentano la classe farmacologica più prescritta dai medici. Tra questa, una di quelle più utilizzate è la fluvoxamina. Come spiega il Corriere, solitamente necessita di tempi superiori ad un mese per manifestarsi. I dosaggi necessari sono frequentemente medio-alti.
Disturbo ossessivo compulsivo: se la terapia non funziona
Curare i disturbi ossessivo-complessivi è possibile, o meglio, si possono tenere sotto controllo. Cosa fare, però, se la terapia non funziona più? Quando il dosaggio medio con farmaci come paroxetina, che prima aveva portato risultati e dunque si era mostrato efficace, perde la sua funzionalità, secondo l’esperto sarebbe “dunque utile attendere o incrementare i dosaggi (sotto controllo medico) per valutare l’eventuale manifestarsi della risposta clinica”.
Ci sono però anche delle alternative. Infatti chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo potrebbe essere resistente al trattamento. Precedentemente erano considerati rari e spesso non venivano riconosciuti i casi di resistenza, ma ora si sa che le cure farmacologiche sono efficaci in circa il 40-60% dei pazienti. Per coloro che non rispondono a questo tipo di trattamento con gli inibitori selettivi della ricettazione della serotonina, esistono diverse strategie di intervento. Si può passare ad altri Ssri o inserire altre molecole come antipsicotici. Un’altra alternativa è l’uso di inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (Snri). Infine, si può ricorrere a forme di intervento non farmacologico, come terapie cognitivo-comportamentali o interventi psicoterapici.