Arrivano tragici aggiornamenti sul caso di Ahmadreza Djalali, il ricercatore “novarese”. Cittadino con doppia nazionalità iraniana e svedese, il medico sarà giustiziato in Iran entro il 21 maggio con l’accusa di spionaggio a favore del Mossad. Arrestato nel maggio 2016 nel corso di una visita accademica in Ziran, l’uomo è stato condannato nell’ottobre 2017 e da allora è recluso in una cella del carcere di Teheran.



Ex ricercatore del Centro di medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale di Novara, Ahmadreza Djalali è stato condannato dal regime iraniana a causa di una lettera presunta alla moglie che proverebbe lo spionaggio a favore del Mossad. Un documento sulla cui autenticità sono stati avanzati parecchi dubbi, ma senza cambiare la situazione, nonostante le pressioni internazionali.



Djalali, medico novarese sarà giustiziato in Iran

Sulle notizie giunte oggi dall’Iran sulla situazione di Ahmadreza Djalali è arrivato il commento della Svezia. Stoccolma e l’Unione europea “condannano la pena capitale e chiedono che Djalali venga rilasciato”, le parole della ministra degli Esteri svedese Ann Linde: “Sono estremamente preoccupata per aver letto sui media oggi che l’Iran potrebbe applicare la pena di morte”. La ministra ha poi evidenziato di essere in contatto con Teheran e di aver già chiesto ripetutamente il rilascio del ricercatore.

Non è tardata ad arrivare la presa di posizione di Amnesty International. Per l’organizzazione internazionale per i diritti umani c’è ancora tempo per salvare il medico e continua a chiedere “di annullare la condanna a morte, ritirare le accuse nei suoi confronti e di consentire il ritorno immediato di Djalali a Stoccolma, dove risiedono moglie e figli che non vede da sei anni”. Infine, segnaliamo la nota diffusa dall’Upo, l’Università del Piemonte Orientale: “Sgomenti per il ritorno di questo incubo, rafforziamo tutte le iniziative, mai abbandonate, per chiedere con forza la liberazione di Ahmad. Il rettore Gian Carlo Avanzi sta risollecitando tutti i canali istituzionali per dare nuova linfa alla rete di solidarietà”.