Con i due decreti approvati dal Consiglio dei ministri nella serata del 2 maggio u.s. sono state predisposte una serie di ulteriori misure rivolte a contenere gli effetti degli incrementi dei prezzi dell’energia sulla produzione e sui redditi delle famiglie. I nuovi provvedimenti aggiungono ulteriori 14 miliardi di euro ai 15 messi in campo per le medesime finalità nel trimestre precedente. Una mole di risorse che, secondo quanto affermato dal Governo Draghi, dovrebbe consentire di attenuare gli effetti recessivi delle dinamiche inflazionistiche per il primo semestre dell’anno in corso, in attesa di un auspicabile miglioramento dello scenario internazionale.
Il primo decreto, dotato di una copertura di 2,1 miliardi, dispone la proroga degli sconti sulle accise dei carburanti e delle esenzioni dal pagamento dell’Iva fino al 8 luglio p.v., per un valore equivalente a 30,5 centesimi al litro per ogni tipologia di alimentazione (benzina, gasolio, gpl, metano). Il secondo decreto è un articolato complesso di interventi che destina metà delle risorse, poco più di 6 miliardi, alla proroga fino al terzo trimestre dell’anno degli sconti sulle bollette energetiche per le famiglie con un reddito Isee inferiore ai 12 mila euro anno, con l’aggiunta di un’erogazione una tantum di 200 euro per i lavoratori dipendenti (busta paga del mese di giugno), dei pensionati (cedolino Inps mese di luglio) e di un analogo importo per i lavoratori autonomi con modalità da definire con un decreto interministeriale attuativo. L’accesso all’una tantum viene riservato ai redditi Isee inferiori ai 35 mila euro l’anno.
Le rimanenti risorse vengono destinate: all’aumento degli sconti e dei crediti di imposta per i consumi energetici delle aziende, dal 20% al 25%, con effetto retroattivo; alla compensazione degli aumenti dei costi energetici e delle materie prime nelle opere pubbliche per evitare il blocco dei cantieri (3 miliardi); ad aumentare le garanzie sugli accessi ai crediti da parte delle imprese, e con la costituzione di uno specifico fondo di 400 milioni di euro per offrire ristori alle piccole e medie imprese penalizzate dalle conseguenze della guerra in Ucraina; a sostenere gli Enti locali in difficoltà (1 miliardo) tra i quali 600 milioni destinati a potenziare gli interventi del Pnrr nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Napoli e Torino; circa 400 milioni per rifinanziare la gamma degli interventi per l’accoglienza dei profughi ucraini. Inoltre, il secondo decreto contiene una serie di ulteriori misure rivolte ad accelerare l’attuazione delle opere pubbliche e la semplificazione delle procedure di approvazione degli investimenti nelle energie rinnovabili.
Le coperture finanziarie dei due decreti vengono generate dall’utilizzo dei risparmi derivanti dal deficit di bilancio tendenziale rispetto a quello programmato per l’anno in corso, equivalenti a circa mezzo punto di Pil, dalla riprogrammazione di 2 miliardi del fondo di coesione e, soprattutto, dall’aumento dell’imposta sui sovraprofitti delle aziende che forniscono l’energia dal 10% al 25%. Un complesso di operazioni che consentono di finanziare i nuovi provvedimenti senza sforare il deficit di bilancio programmato.
Va riconosciuto all’Esecutivo il merito di aver evitato lo sfondamento dei vincoli di finanza pubblica, richiesto dalle principale forze politiche della maggioranza parlamentare e dalle parti sociali, con un’intelligente redistribuzione dei costi e benefici derivanti dall’aumento dei prezzi dell’energia. Una scelta di politica economica prudente e consapevole del fatto che il mutamento degli scenari economici è destinato ad alterare le condizioni che hanno consentito per alcuni anni di finanziare l’aumento del debito pubblico a tassi di interesse decrescenti. Un segnale che marca l’intenzione di mantenere le scelte di politica economica nell’ambito della sostenibilità evitando di sommare i rischi della finanza pubblica alla particolare ed evidente esposizione del nostro Paese ai costi dell’energia e delle materie prime importate.
Ma per fare questa operazione il Governo Draghi ha oggettivamente raschiato il fondo del barile. I prezzi dell’energia, anche per la domanda aggiuntiva innescata dalla spasmodica ricerca di alternative alle forniture dalla Russia, sono destinati a rimanere elevati per molti mesi. Nella migliore delle ipotesi, quella di una graduale riduzione dell’impatto inflazionistico intorno al 5% nella media dell’anno in corso e di un andamento del Pil superiore al 3%, il fabbisogno aggiuntivo derivante gli effetti di trascinamento sulla spesa pubblica (rivalutazione degli stipendi dei dipendenti della Pa, delle pensioni e delle forniture e degli appalti) e quello stimabile per sostenere l’impatto inflazionistico sui redditi da lavoro e delle imprese, rischia di essere persino superiore ai 30 miliardi già stanziati per il primo semestre.
Una prospettiva che non può essere affrontata con il prosieguo delle misure tampone, perché pone interrogativi sulla tenuta strutturale degli attuali assetti della produzione e della distribuzione del reddito del nostro Paese. La saggezza dimostrata dal Governo Draghi in questi frangenti è palesemente insufficiente a reggere questo passaggio se il tema dell’adeguamento delle politiche economiche alla nuova situazione non viene assunto in modo costruttivo dal complesso delle forze politiche e sociali.
Il primo nodo da affrontare è inevitabilmente quello di come mantenere competitivo, e attrattivo, il nostro sistema produttivo nel quadro delle evoluzioni delle nuove scelte di allocazione degli investimenti. Per questa finalità la riduzione delle sacche di inefficienza e di bassa produttività assume un valore strategico, e che non può essere delimitato agli ambiti di attività della Pubblica amministrazione.
In questo ambito va ripensato il modo di utilizzare le risorse finanziarie e gli investimenti disponibili. Nell’ambito delle istituzioni europee si è aperta la discussione riguardo l’opportunità di ripensare il programma Next Generation Eu alla luce delle conseguenze geopolitiche sulle priorità di impiego delle risorse, in particolare la quota di risorse destinata ai prestiti per la gran parte utilizzata solo dall’Italia, per gestirle in modo flessibile sulla base delle nuove esigenze. Davvero non abbiamo niente da dire a questo proposito?
La nostra dotazione di energie imprenditoriali e di risorse umane in termini di quantità e di qualità risulta palesemente al di sotto della potenzialità di impiego delle risorse finanziarie e tecnologiche disponibili, ivi compresi i risparmi nei conti correnti delle imprese e delle famiglie che sono aumentati di oltre 200 miliardi nel corso degli ultimi due anni. Una cifra superiore ai trasferimenti operati dallo Stato, aumentando il debito pubblico, nel corso degli ultimi due anni. Davvero non si può fare niente per invertire questa tendenza?
Si può fare molto, a condizione che l’utilizzo delle risorse, e la direzione delle riforme, rimangano fortemente ancorate alla priorità di agevolare gli investimenti e la produttività, come precondizione della distribuzione del reddito.
Nei prossimi mesi tutta la classe dirigente del nostro Paese sarà chiamata a fare i conti con il principio di realtà destinato a mettere in soffitta buona parte degli slogan e dei luoghi comuni che animano i talk show e le discussioni politiche.
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