Il decreto cura Italia è entrato in vigore, ma i 2 milioni di fatturato, posti come soglia per le imprese che si vedono sospesi i pagamenti di tasse e contributi fino al 31 maggio, rischia di essere letale per intere filiere produttive, come ci spiega Franco Cambielli, Presidente del Gruppo Cambielli Edilfriuli, che propone una misura più efficace per evitare che salti la catena dei pagamenti clienti/fornitori provocando una mancanza di liquidità per le aziende.



Il decreto cura Italia è entrato in vigore, con al suo interno misure anche a sostegno delle imprese. Cos’è cambiato per la sua?

Come per tutte le aziende che hanno un fatturato superiore ai 2 milioni di euro, non è praticamente cambiato nulla, se non per la posticipazione dei versamenti Iva dal 16 al 20 marzo.



È stato quindi un errore escludere dalla sospensione del pagamento di tasse e contributi fino al 31 maggio le aziende sopra questa soglia di fatturato?

È stato un errore in quanto le aziende che superano tale soglia sono una parte essenziale di tutte le filiere. Aiutare le aziende più piccole, ma non quelle principali, all’interno di una filiera significa di fatto interromperla.

Occorreva forse operare una scelta in base al settore di appartenenza e non sul fatturato?

Sicuramente, soprattutto per quei settori che fanno riferimento all’allegato 1 del Dcpm dell’11 marzo dove si elencano le attività commerciali che non sono state sottoposte a sospensione. Sarebbe stata una misura utile a evitare che si interrompa la catena dei pagamenti clienti/fornitori. Al momento, infatti, le aziende più grandi potrebbe arrivare a trovarsi nell’impossibilità di pagare i dipendenti, le imprese più piccole che lavorano per loro, i professionisti, i collaboratori, le partite Iva, con tutti gli effetti che si possono immaginare.



Quale misura del decreto la convince di più e quale di meno, a parte quanto già detto sulla soglia di fatturato prevista per la sospensione del pagamento di tasse e contributi?

Trovo positivi gli investimenti sulla sanità, che sono certamente produttivi. Mi convince invece poco una misura un po’ demagogica come quella del blocco dei licenziamenti, perché se nel frattempo le aziende falliranno non ci saranno più posti di lavoro da salvaguardare.

I posti di lavoro si stanno cercando di tutelare anche con un uso più ampio della cassa integrazione. Cosa ne pensa?

La cassa integrazione è sostitutiva di uno stipendio, ma la cosa più importante è mantenere vive le imprese, altrimenti non ci saranno più stipendi. La cassa integrazione è un palliativo.

Pensa che il problema del decreto stia nell’ammontare delle risorse?

Sicuramente le risorse di cui si parla non possono mobilitare 350 miliardi di euro come hanno detto il Premier e il ministro dell’Economia. Considerando che una parte di quei 25 miliardi vanno a misure assistenziali, bisognerebbe che ci fosse un moltiplicatore intorno a 20 per arrivare a quella cifra. Non credo si sia mai visto nulla di simile nella storia finanziaria ed economica. Il punto è che anche senza tante risorse si potrebbe agire in maniera importante tramite le garanzie.

In che modo?

Sarebbe importante, come sembra si stia facendo in Germania, che lo Stato desse al sistema bancario la possibilità di incrementare in maniera automatica del 10-15% gli affidamenti già in essere, tramite la garanzia pubblica. Ciò consentirebbe alle aziende di onorare le scadenze e aspettare la ripartenza dell’attività.

In questa direzione c’è, nel decreto, solo l’intervento sul fondo di garanzia delle Pmi…

È certo importante sostenere le piccole imprese, ma se quelle grandi, che sono loro clienti o fornitori, non riescono a onorare gli impegni finanziari, la catena dei pagamenti si blocca e anche le piccole, pur con questo fondo di garanzia, non riuscirebbero comunque a fare produzione, perché verrebbe meno o l’offerta del prodotto iniziale o la domanda per quello finito. E senza produzione non sopravvivrebbero.

Se dovesse pensare a un miglioramento fattibile delle misure approvate lei agirebbe quindi anche sul sistema delle garanzie sui prestiti in essere.

Se le banche in questo momento aumentassero in maniera significativa, con una garanzia dello Stato, gli affidamenti già in essere, rivolti quindi ad aziende che le banche ritengono affidabili, si consentirebbe, anche a chi non ha fatto produzione a marzo e non la farà ad aprile, di onorare comunque le scadenze del 31 marzo e del 30 aprile, chiaramente accollandosi un debito da ripagare in futuro. Sarebbe un intervento utile e credo che avrebbe un costo come garanzie, non di diretta liquidità, intorno ai 100-110 miliardi. Compiuto attraverso una struttura come Cassa depositi e prestiti, credo che a livello contabile potrebbe non andare a pesare sul debito pubblico.

Oltre a questo intervento, secondo lei cosa potrebbe fare il Governo, che ha già annunciato di essere al lavoro per un nuovo decreto?

Sarebbe necessario emanare immediatamente dei protocolli di sicurezza che consentano alle attività produttive che li rispettano di poter operare tranquillamente. Sento tanto parlare di modello cinese, ma non dimentichiamo che in Cina solo una minima parte della popolazione è rimasta bloccata, mentre l’altra continuava a produrre. Non credo che si possa andare avanti a lungo bloccando tutta la nazione.

Quanto si può andare avanti?

Per il mondo della produzione il 25 marzo è una data limite. Le sospensioni dovrebbero proseguire solo per quei settori dove c’è più rischio di contagio, come per esempio la ristorazione.

I protocolli di sicurezza di cui ha parlato, cosa dovrebbero avere di diverso rispetto a quello firmato pochi giorni fa?

Devono essere molto più dettagliati, indicando, per esempio, esattamente i dispositivi da utilizzare e le distanze da rispettare, perché negli ultimi giorni c’è stata un po’ di confusione sul tema. Servono protocolli precisi e verificabili dalle unità di sorveglianza delle Agenzie di tutela della salute.

Per chiudere, qual è sinteticamente il messaggio che, da imprenditore, vorrebbe mandare alle istituzioni?

Occorre finanziare le imprese, che sono quelle che garantiscono il lavoro, e dare delle disposizioni chiare e precise in modo da evitare tensioni dovute al panico e alla paura per chi deve operare all’interno delle aziende.

(Lorenzo Torrisi)

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