Come in un film arcinoto, visto all’infinito in tutto il globo, siamo costretti incessantemente, ad assistere ai litigi nella maggioranza. Non solo sulla Legge di bilancio, ma anche sul decreto fiscale. Lo scoglio più difficile da scavalcare è apparso da subito, quello riguardante la “galera” per i grandi evasori. Così, dopo tempi memorabili e un acceso scontro, dove c’era in gioco il rischio che la compagine dell’Esecutivo si sgretolasse, l’ok agli emendamenti dei relatori e del governo ha ufficializzato l’innalzamento in toto delle pene, che nel contempo sono diventate più blande per i reati minori (i delitti occasionali di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, non caratterizzati da condotte fraudolente). Il “no” di Italia Viva (e si può immaginare perché…), si è improntato sull’emendamento per rinviare le norme di equiparazione dei partiti alle fondazioni, approvato con i voti di M5s, Pd e LeU. Con questa minacciata frattura, creata ad arte dai renziani, dopo oltre 14 ore, la commissione Finanze ha potuto ultimare i suoi lavori sul decreto fiscale e dare mandato al relatore.
Che dire a questo proposito? Il nostro umile parere è che il carcere, a parte casi eclatanti, non risolve il problema della grande evasione fiscale. Cerchiamo di essere i più chiari possibile: in Italia i processi per tutti i reati commessi durano in media un tempo “biblico”; così nel caso ci sia di mezzo del contante occultato o patrimoni mobiliari e immobiliari accumulati illegalmente, mediante ricorsi vari, avvocati compiacenti, amici degli amici, complici all’estero, ecc., tutto muore lì. Infatti, con il tempo a favore (a volte prima dell’avviso di garanzia), si riesce a far sparire il maltolto; così l’imputato può tranquillamente dichiararsi nullatenente: farà sì alcuni (sob!) giorni di detenzione, quasi sicuramente ai domiciliari, ma lo Stato, come sempre, resterà con un “palmo di naso” senza riuscire a recuperare un solo centesimo e in più accollandosi tutte le gravose spese processuali.
Inoltre, in questi ultimi giorni, a tenere banco sui canali d’informazione è l’argomento del rimborso o del pagamento debito contenuto nel 730, che dall’anno prossimo scatterà a ottobre. Come affermato dagli esperti del ministero delle Finanze, il nuovo calendario fiscale, a partire dal modello 730 precompilato, è pensato per concedere più tempo ai contribuenti per mettersi a posto con la questione tasse. Così viene riscritto il calendario fiscale, con la scadenza del modello che passa dal 23 luglio al 30 settembre e si farà in modo anche di allargare la platea dei contribuenti che possono usare e compilare lo stesso: oltre ai dipendenti e ai pensionati, potranno presentarlo anche i titolari di redditi assimilati a quello di lavoro dipendente e i titolari di redditi di lavoro autonomo occasionale.
Siccome come tutti siamo a caccia delle “magagne” di turno del Fisco, non possiamo non riflettere sul tempo della campagna 730 annuale che si concede l’amministrazione finanziaria. Appare palese che essa, che non elargisce nulla “a fondo perduto”, abbia calcolato che anche tre mesi di ritardo sulla liquidazione dei crediti d’imposta possa essere più che utile a far sì che si possa raschiare meglio il fondo del “barile” erariale e che il maggior tempo a disposizione sia opportuno e necessario, visto il caos generale fiscale che impera e per permettere controlli più serrati sulle dichiarazioni dei poveri contribuenti con un reddito da pensione o da lavoro dipendente, quelli oggettivamente più indifesi e quindi più vessati.
Crediamo, concludendo, che tale analisi sia l’unica da proporre ripercorrendo tutto “l’ambaradan” sui provvedimenti proposti riguardo il fisco. E sull’argomento ci piace ricordare cosa diceva molto sagacemente, nel primo ‘900, Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco ma sono in tanti”.